venerdì 22 aprile 2016

Earth Day 2016 - Un menu per la Terra e per gli uomini del 2050



Il 22 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Terra, quest'anno alla sua 46esima edizione. La prima edizione, Earth Day 1970, fu proposta dal senatore americano Gaylord Nelson a seguito del disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California. Nelson decise di portare le questioni ambientali all'attenzione dell'opinione pubblica e del mondo politico. "Tutte le persone, a prescindere dall'etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile". I recenti avvenimenti purtroppo confermano che c'è ancora un grandissimo bisogno di parlarne.
Da oggi su iniziativa del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon verranno ratificati gli accordi sul clima raggiunti al COP 21 di Parigi lo scorso dicembre. L'obbiettivo sarà quello di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C entro il 2020. Gli stati che hanno confermato sono oltre 130 e l'accordo entrerà in vigore 30 giorni dopo che almeno 55 paesi avranno ratificato l'accordo.C'è da sperare, per citare Ban Ki-moon, che tali aspirazioni possano essere concretamente trasformate in azioni. 

Cosa c'entra tutto questo con l'alimentazione? 
I cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità (anche di specie coltivate), l'impoverimento del suolo, la disponibilità di acqua dolce e l'acidificazione degli oceani minano la sicurezza alimentare, soprattutto quella delle comunità e degli individui  a basso reddito, le cui attività agricole, di pesca e di allevamento dipendono maggiormente dalle condizioni di salute del pianeta. Parliamo di miliardi di persone.

Impatto delle produzioni alimentari sui cambiamenti climatici

Anche se spesso non ce ne rendiamo conto, gli alimenti di cui ci nutriamo, hanno un costo in termini ambientali. Sono il frutto di una catena che ha inizio con la produzione delle materie prime (fertilizzanti, mangimi per gli animali), passa attraverso i processi produttivi, il packaging, i trasporti, la refrigerazione, la vendita, la gestione domestica, fino allo smaltimento e al riciclaggio dei rifiuti. Il sistema alimentare contribuisce al 19-29% delle emissioni di gas serra totali di origine antropica a livello mondiale. Si tratta di quasi 1/3 delle emissioni, non è un dato trascurabile. La produzione agricola contribuisce all'80% di queste emissioni con differenze sostanziali tra i diversi paesi.

Assieme alle necessarie decisioni a livello politico, le nostre scelte alimentari possono avere un impatto notevole sui cambiamenti climatici e sulla nostra salute. 

Cosa ne sarebbe della salute umana e di quella dell'ambiente nel 2050 se modificassimo le nostre abitudini alimentari?
Un recente studio condotto all'Università di Oxford prova a dipingere degli scenari. 
Secondo le linee guida alimentari proposte dal World Cancer Research Fund e dagli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e della FAO bisognerebbe:
  • consumare minimo cinque porzioni di frutta e verdura al giorno
  • consumare non più di 300 g a settimana di carni rosse
  • consumare non più di 50 g al giorno di zuccheri semplici
  • garantire un apporto energetico medio per la popolazione di 2200/2300 kcal al giorno (è un dato medio che è variabile tra individui diversi)
Considerando le abitudini medie di buona parte della popolazione dei paesi industrializzati sarebbe un'obbiettivo non da poco. Si tratterebbe in sostanza di scegliere un'alimentazione maggiormente incentrata sul consumo di alimenti di origine vegetale.
Che darebbe i suoi frutti. Perché secondo le proiezioni degli studiosi questo cambiamento permetterebbe di evitare circa 5 milioni di decessi, dovuti alle conseguenze della malnutrizione per eccesso o difetto, ogni anno. Nel caso poi si adottasse una dieta vegetariana o vegana si potrebbero evitare un numero compreso tra i 7  gli 8 milioni di decessi all'anno. Più della metà di queste vite verrebbero risparmiate dalla riduzione del consumo delle carni rosse, ironia della sorte proprio nei paesi emergenti.

E l'ambiente? Se gli uomini non scegliessero questa coraggiosa e necessaria "evoluzione" nei consumi alimentari globali le emissioni di gas serra legate alla produzione alimentare aumenterebbero del 51% nel 2050. Questo dato potrebbe essere ridotto del 29% se si abbracciassero le raccomandazioni della Dieta Mediterranea e del 63-70% nel caso di un'alimentazione vegetariana o vegana.


In definitiva per abbracciare le raccomandazioni dell'OMS bisognerebbe aumentare del 25% il consumo globale di frutta e verdura, ridurre del 56% quello di carne rossa e nel complesso gli uomini dovrebbero diminuire l'apporto energetico del 15%. 

Questo permetterebbe una più equa ripartizione delle risorse rispetto ai tanti che oggi hanno troppo poco.  

"Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri"
                                                                                     Enciclica Laudati Si' sulla cura della Casa Comune, Papa Francesco



Bibliografia:

  •  http://www.earthday.org/
  • Springmann M, Godfray HCJ, Rayner M, Scarborough P -  Analysis and valuation of the health and climate change cobenefits of dietary change - PNAS, 2016, 113 (15): 4146-4151
  • Vermeulen SJ, Campbell BM, Ingram JSI - Climate Change and Food SystemsAnnual Review of Environment and Resources, 2012, 37: 195-222
  • Scarborough P, Appleby PN, Mizdrak A, et al. - Dietary greenhouse gas emissions of meat-eaters, fish-eaters, vegetarians and vegans in the UKClimatic Change, 2014, 125(2):179-192

lunedì 18 aprile 2016

I waffles: se il burro incontra le fragole. Parte II

Crocodylus niloticus

"                     Demonio, sì, demonio! 
Se la terra potesse partorire
fecondata da lacrime di femmina, 
ogni goccia sarebbe un coccodrillo. 
Fuori dalla mia vista!"





Otello a Desdemona - The Tragedy of Othello, the Moor of Venice - William Shakespeare,  atto IV, scena I, traduzione Goffredo Raponi




Riflettevo su questi versi mentre osservavo con soddisfazione il risultato delle mie fatiche, che il lettore potrà trovare qui. Certo Shakespeare aveva l'animo del poeta, ma non ci si illuda: i coccodrilli sono ben lungi dal piangere in preda a sentimentalismi! Questi portentosi rettili, appartenenti all'ordine dei Crocodylia e alla famiglia dei Crocodylidae, sono comparsi sulla terra 90 milioni di anni fa (nel Cretaceo Superiore) da antenati crocodilomorfi. E hanno l'abitudine di piangere spesso. Gli zoologi ipotizzano che le ghiandole lacrimali secernono tale fluido proteico dietro la membrana nittitante (terza palpebra) allo scopo di lubrificare l'occhio quando il coccodrillo esce fuori dall'acqua. Inoltre, benché dotati da madre natura di denti di tutto rispetto, i coccodrilli non possono masticare. Insomma sono costretti a inghiottire per intero la preda o a strapparne grossi brandelli. Queste manovre non da poco potrebbero spingere aria nei seni paranasali del rettile, stimolando la secrezione di lacrime da parte delle ghiandole lacrimali. Qui si tratta di sopravvivenza: il coccodrillo piange perché deve!

Si torni dunque al nostro waffle che, benché ignaro, era oggetto di tali considerazioni. O meglio al burro.

Il burro deve contenere almeno l'82% di materia grassa.

La componente grassa degli alimenti rappresenta spesso una linea di confine tra i costituenti ritenuti “positivi” e quelli ritenuti “negativi” dell'alimentazione. Nonostante questo gli acidi grassi esplicano funzioni essenziali per la vita. Rappresentano un deposito di energia, svolgono funzioni di sostegno, isolamento termico, contribuiscono alla struttura delle cellule, permettono l'assorbimento di vitamine liposolubili e caroteni e partecipano a molti processi biologici. Ad esempio hanno un ruolo nell'espressione di specifici geni capaci di regolare il metabolismo di alcuni nutrienti. Inoltre alcuni nutrienti essenziali (che l'organismo non è in grado di produrre da sé con alcune rare eccezioni e in quantità insufficienti a coprire i fabbisogni), come alcuni grassi detti per questo essenziali e le vitamine liposolubili - vitamina A, E, D, K -, sono lipidi. 

Nel latte vaccino e quindi nel burro i grassi sono presenti soprattutto sotto forma di trigliceridi (96-98%). Come sono fatti i famigerati trigliceridi?


By Iacopo Leardini (Own work)






                                                                                                                                                                   























Ecco, quando le cose si possono immaginare fanno un altro effetto. Come si osserva dall'immagine i trigliceridi sono costituiti da una molecola di glicerolo (un alcool) unito da legami estere con 3 molecole di acidi grassi.

Una delle caratteristiche più importanti in un acido grasso è la lunghezza della catena carboniosa ovvero della molecola: ne esistono di molte misure.
Posso essere a catena corta, come l'acido butirrico, a catena media, come ad esempio il caprilico o a catena lunga come il miristico, il palmitico e lo stearico. Tutti presenti nel burro.
Per complicare ulteriormente la faccenda alla natura è piaciuto talvolta arricchire gli acidi grassi, ma solo quelli a lunga catena, con uno o più doppi legami e in tal caso si parla di acidi grassi monoinsaturi o polinsaturi, che saranno oggetto di futuri post. 

Sia chiaro che da un punto di vista energetico non vi è alcuna differenza: 1 g di grasso libera la stessa quantità energia, saturo o insaturo che sia. Eppure quando interagiscono col corpo umano non sono propriamente identici.

Il lettore penserà che ce ne sia abbastanza per mettersi le mani nei capelli! In effetti questo è stato il primo pensiero della scrivente quando, alcuni anni fa, si trovava ad "affrontare"  il primo di una lunga serie di manuali di biochimica. 

Nel burro sono presenti più di 400 acidi grassi diversi. Di questi circa il 58,5 % sono acidi grassi saturi, circa il 28 % sono monoinsaturi e circa il 3% sono polinsaturi.

Gli acidi grassi saturi sono quelli che destano maggiore preoccupazione nei consumatori in quanto un loro consumo eccessivo è correlato con l'aumento del rischio cardiovascolare. D'altro canto si potrebbe dire la stessa cosa per il consumo eccessivo di moltissimi altri nutrienti. In passato si arrivò addirittura a promuovere il consumo di margarine e altri oli vegetali non di uso comune nel nostro paese a discapito del burro.  

Si proceda con ordine. Fino al Neolitico, ovvero 12000 anni or sono, l'uomo si nutriva degli animali che riusciva a cacciare oltre che dei vegetali che raccoglieva. No, il lettore non immagini dei Rambo in azione... Gli strumenti erano quelli che erano, la competizione con i grossi predatori - decisamente meglio equipaggiati dalla natura - era grande e c'era da camminare molto per racimolare probabilmente un magro bottino. E, vista la fatica, degli animali si mangiava giustamente tutto, inclusi gli organi interni ricchissimi di grassi saturi e colesterolo. Secondo alcuni studi i grassi coprivano circa il 65% del fabbisogno energetico. A mio parere è difficile da questo dimostrare che l'uomo all'epoca non soffrisse di patologie degenerative, era costretto e muoversi moltissimo e la vita era talmente breve rispetto agli standard della nostra epoca, che si faceva molto prima a morire per ferite, traumi e patologie infettive che a quel tempo non potevano essere curate. Nel Neolitico le cose cambiarono, l'uomo gradualmente iniziò ad "addomesticare", ovvero coltivare, i cereali che divennero in moltissime popolazioni una delle principali fonti di nutrimento. Oltre a coltivare la terra allevava anche animali, ragion per cui i latticini erano certamente inclusi nella dieta di molte popolazioni umane.

Negli anni '50 il dr Ancel Keys, illustre biologo e fisiologo statunitense, il primo biologo nutrizionista della storia - per questo a me particolarmente caro - fu il primo a condurre studi, in popolazioni diverse, sulle correlazioni tra stile di vita, dieta e incidenza di infarto cardiaco e ictus. Ne venne fuori quello che, ancora oggi, rappresenta una pietra miliare nel campo delle scienze dell'alimentazione: il Seven Countries Study. Gli italiani, anche se non tutti ne sono a conoscenza, hanno un debito di riconoscenza verso Ancel Keys, che amò tanto l'Italia e il suo cibo da pensare di trascorrere più di 40 anni a Pioppi, piccolo paese del Cilento, rendendo  la Dieta Mediterranea famosa in tutto il modo.

Fu proprio Ancel Keys che avanzò, dai primi risultati dei suoi studi, l'ipotesi di una correlazione fra il consumo di grassi animali e i rischio cardiovascolare.

Da allora sono passati più di 50 anni, quali sono ad oggi le evidenze?

Gli acidi grassi saturi e il colesterolo alimentari inibiscono l'attività del recettore delle LDL deputato alla loro eliminazione, aumentano il colesterolo totale, le lipoproteine LDL e, seppur modestamente, anche le HDL. Tuttavia gli acidi grassi saturi sono stati importanti nell'evoluzione dell'uomo e lo sono durante l'accrescimento, sono infatti presenti nel latte materno fornendo energia utilizzabile nella crescita e nella lotta alle infezioni. I bambini hanno un fabbisogno di acidi grassi saturi in proporzione maggiore rispetto all'adulto. Essi proteggono le cellule irrigidendo le membrane, visto che il colesterolo, cui spetterebbe tale compito, è scarsamente sintetizzato fino all'adolescenza.

Gli acidi grassi saturi sono tutti uguali? Decisamente no! Esistono infatti acidi grassi saturi che non si comportano come tali.
L'acido laurico, presente principalmente nei grassi tropicali, è quello che aumenta maggiormente il colesterolo LDL, seguito da miristico e palmitico. Molto dipende dalla qualità dei prodotti consumati e dalla variabilità genetica individuale. Questi 3 acidi grassi saturi rappresentano circa il 38% dei grassi totali contenuti nel burro. Tra gli altri grassi saturi ci sono l'acido stearico e gli acidi grassi a catena corta (come l'acido butirrico) che si comportano in modo differente.
Circa il 40% di acido stearico infatti viene convertito dall'organismo in acido oleico (acido grasso monoinsaturo che costituisce ad esempio il 72% dei grassi presenti nell'olio extravergine di oliva). L'acido butirrico invece è presente solo nel latte dei ruminanti. Nell'uomo è sintetizzato della flora batterica del colon durante la fermentazione delle fibre vegetali. Nutre le cellule della parete intestinale,  svolge un'azione anti-infiammatoria e previene lo stress ossidativo riducendo le specie reattive dell'ossigeno. Secondo i dati attualmente disponibili in letteratura sembra che gli acidi grassi a corta catena come il butirrico non inducano modificazioni significative del contenuto plasmatico di LDL.
Pertanto la percentuale di acidi grassi saturi nel burro, ovvero di grassi che si comportano come saturi, è inferiore a quella contenuta in alcuni oli vegetali come quello di palma o di cocco.

Il grasso del latte contiene anche acidi grassi insaturi essenziali, i cui capostipiti sono l'acido linoleico (omega 6) e alfa-linolenico (omega 3). Come tutti gli acidi grassi insaturi naturali presentano i doppi legami in una configurazione cis. E sarebbe tutto regolare se non ci fosse il rumine (una delle 4 cavità dello stomaco concamerato dei ruminanti), o meglio i microrganismi in esso contenuti. I grassi insaturi vengono infatti bio-idrogenati nel rumine e dunque nel burro sono contenuti anche i famosi grassi trans o meglio sarebbe dire isomeri trans (si, proprio quelli di cui si fa un gran parlare e che in genere vengono assunti per mezzo delle margarine e derivati, ottenuti tramite processi industriali di parziale idrogenazione degli acidi grassi degli oli vegetali). La molecola con configurazione trans del doppio legame, ironia della sorte, si comporta generalmente in maniera più simile al corrispondente acido grasso saturo. Ma anche in questo caso è opportuno fare delle distinzioni! 

Tra gli isomeri trans contenuti nei latticini ci sono anche i Cla ovvero gli "isomeri coniugati dell'acido linoleico" che derivano proprio dall'acido linoleico e dall'acido linolenico. Alcuni Cla sono considerati antiossidanti, hanno mostrato effetti positivi nei confronti dell'aterosclerosi e sono stimolatori del sistema immunitario.

E le fragole cosa c'entrano col waffle?
C'entrano eccome! Le fragole sono ricche di polifenoli come i flavonoli (ad esempio la quercetina), antocianine, acido ellagico e acido caffeico.
Le piante sintetizzano polifenoli per proteggersi dai raggi UV, attrarre insetti pronubi (che trasportano il polline), per difendersi dai parassiti. E rendono anche un servizio all'uomo. Queste molecole, una volta entrate in contatto con l'organismo umano, sono infatti antiossidanti, hanno azione antinfiammatoria, rallentano l'invecchiamento cellulare e tra le moltissime altre funzioni agiscono sul sistema cardiocircolatorio. Il consumo di fragole e mirtilli, grazie anche al loro contenuto di polifenoli, sembrerebbe essere protettivo nei confronti del rischio cardiovascolare. Alcuni studi mostrano infatti che il consumo di questi frutti possa contribuire ad abbassare il colesterolo LDL e ad aumentare il colesterolo HDL. I meccanismi alla base di tale attività non sono ancora del tutto noti.

Quindi le fragole assieme al waffle sono ottime e anche utili!

Quando si parla di alimenti non è possibile farlo in termini assolutistici. Non si può descrivere un alimento esaltando unicamente caratteristiche positive o negative. I cibi interagiscono chimicamente tra di loro e con il corpo umano e in definitiva rappresentano solo un tassello di un mosaico molto più complesso. Il fatto che esista un’indicazione prudenziale sui quantitativi di grassi saturi o insaturi da non superare non deve far dimenticare che, al di sotto della fascia di normalità, esiste anche un valore minimo che può degradare nella carenza.

Secondo le più recenti raccomandazioni è necessario che nella nostra alimentazione i grassi siano presenti in modo da apportare mediamente il 30% della quota energetica quotidiana. I grassi saturi possono coprire fino al 10% di questo fabbisogno energetico.

Come diceva Paracelso, medico e alchimista svizzero, vissuto a cavallo tra il 1400 e il 1500:

"Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit"

"Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto"

Paracelso, Responsio ad quasdam accusationes et calumnias suorum aemulorum et obtrectatorum. Defensio III. Descriptionis et designationis nouorum Receptorum.



Bibliografia

  • Del Toma E, Romano F, Pizzoferrato L - Libro bianco sul latte e i prodotti lattiero caseari: compendio per medici - Accademia Nazionale di Medicina, Il sole 24 ore Sanità, nov 2007
  • Cappelli P, Vannucchi V - Chimica degli alimenti - Zanichelli editore, 2005
  • Arienti G - Le basi molecolari della nutrizione - Piccin editore, 2011
  • Gnagnarella P, Salvini S, Parpinel M - Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia  - Versione 1.2015 Website http://www.bda-ieo.it/
  • Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN): linee guida per una alimentazione italiana. Revisione 2006. Accessibile a: http://www.inran. it/servizi_cittadino/stare_bene/guida_corretta_alimentazione 
  • Lercker G - Composizione del grasso di latte in "Il burro fra passato, presente e futuro" - Atti del convegno tenuto a Reggio Emilia il 15 aprile 2010, Ed Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, p. 48-68
  • Caramia G - Butter, my love, joy, sorrow and rehabilitation: not simply cholesterol and saturated fatty acids -  Ped. Med. Chir. (Med. Surg. Ped.), 2014, 36: 65-73
  • Basu A, Betts NM, Nguyen A, Newman ED, Dongxu Fu, Lyons TJ - Freeze-Dried Strawberries Lower Serum Cholesterol and Lipid Peroxidation in Adults with Abdominal Adiposity and Elevated Serum Lipids - J. Nutr., 2014, 144: 830–837
  • Skrovankova S, Sumczynski D, Mlcek J, Jurikova T and Sochor J -Bioactive Compounds and Antioxidant Activity in Different Types of Berries - Int. J. Mol. Sci. 2015, 16, 24673-24706
  • Crocodilian biology database. Sito internet: http://crocodilian.com/cnhc/cbd.html
  • Brian Handwerk (National Geographic News) - Crocodiles Really Shed Tears While Eating, Study Saysnews.nationalgeographic.com, 10-10-2007




lunedì 4 aprile 2016

I waffles: se il burro incontra le fragole. Parte I

Il titolo suona provocatorio. Me ne rendo conto.
In realtà volevo preparare dei waffles, dolci a cialda diffusi in tutto il Nord Europa con varie denominazioni e ricette. Li adoro.

Spero che il lettore mi perdonerà questa escursione al di fuori della dieta mediterranea, così come viene comunemente intesa. A mia discolpa posso dire che la prima cialda sembrerebbe risalire all'antica Grecia...
Non mancano versioni nostrane come le pizzelle o ferratelle abruzzesi.
Nella speranza che nessuno si offenda nella regione che mi ha dato i natali, devo dire che preferisco largamente la versione scandinava.


Occorrente per 8 cialde:


 "ferri", ovvero le piastre sovrapposte e incise col caratteristico reticolo. Potete osservarne una versione paleolitica qui di fianco,
120  burro,
3 uova,
350 ml di latticello o buttermilk,
400 g di farina di grano tenero 00,
1 bustina di lievito per dolci,
1 cucchiaino di zucchero,
1/2 cucchiaino di sale da cucina.

Seriamente preoccupata da questa miscela che agli occhi di una nutrizionista risultava chiaramente esplosiva, mi sono impegnata a cercare alternative di ogni tipo. In realtà ciascuno di questi ingredienti richiederebbe un approfondimento, cosa che mi riprometto di fare in post futuri.
Ho quindi sostituito il burro con molteplici oli vegetali, la farina 00 con quella integrale e semi-integrale. Ho lottato con la pastella, che come una piovra voleva attaccarsi ad ogni costo alla piastra.
E soprattutto nessuno di questi tentativi mi portava all'agognato waffle. Ovvero qualcosa veniva fuori ed era anche gradevole. Da usare magari come spunto per creare alternative. Ma non aveva nulla a che vedere col waffle.

D'altronde oggigiorno il terrore imperante nei confronti degli alimenti che sono "buoni" o "cattivi", decontestualizzati da qualsiasi visione d'insieme su quella che è l'alimentazione nel suo complesso, non risparmia nessuno. Confido nella comprensione del lettore che, ne sono certa, si sarà spesso trovato in simili ambasce.

Ho quindi deliberatamente scelto di utilizzare il burro e farina 00, appellandomi alle virtù del mio stomaco che, grazie alla presenza dei grassi, avrebbe ritardato e modulato l'assorbimento del glucosio. Dopo questa confortante riflessione sui profili assorbitivi sono tornata alla mia ricetta.

Eravamo al burro. Ma cos'è il burro?
In base alla normativa comunitaria i grassi lattieri sono definiti come i prodotti che si presentano come emulsione solida di acqua in grasso ottenuti dal latte. Tradotto il burro è una emulsione di goccioline di acqua disperse nel grasso. Deve contenere almeno l'82% di materia grassa, non più del 16% di acqua e un massimo del 2% di altri costituenti comprendenti lattosio, proteine e sali minerali.
Le sue caratteristiche nutrizionali dipendono da quelle del latte di partenza, della cui frazione lipidica il burro rappresenta un concentrato. 
Tutto parte dall'estrazione della crema di latte, un liquido giallino e gradevole. A livello industriale viene ottenuta per centrifugazione del latte, operazione attraverso la quale i globuli di grasso  si separano dal latte. Il risultato di tale operazione è la crema dolce. 
La tecnica tradizionale è la separazione per affioramento. La crema acida così prodotta si raccoglie in superficie nel latte lasciato riposare per 15-20 ore a 15°C. Lo stazionamento del latte nelle vasche favorisce la crescita microbica e dunque la produzione di acido lattico e sostanze aromatiche. Dalla crema di affioramento si ottiene un burro più saporito. 

La crema così ottenuta viene a questo punto pastorizzata, ovvero sottoposta ad un trattamento termico che la rende sicura da un punto di vista microbiologico e ne prolunga il tempo di conservazione.

Lattobacilli
La crema dolce porterebbe ad un burro privo di sapore. Per questa ragione, imitando ciò che avverrebbe naturalmente nella separazione per affioramento, è addizionata con colture di batteri lattici acidificanti  (Streptococcus lactis, Streptococcus cremoris) e con batteri che arricchiscono l'aroma (Streptococcus diacetalactis, Betacoccus citrovirus). Ho pensato che il lettore avrebbe gradito una foto di questi laboriosi signori. Dalla loro attività si ottengono le sostanze che conferiscono l'aroma: metilchetoni, lattoni, aldeidi, acidi carbossilici.

La crema maturata viene infine sottoposta a zangolatura, ovvero viene separata in due frazioni attraverso opportuna battitura: il burro grezzo e il latticello che non deve contenere più dello 0,5% di grasso.

In realtà le cose sono un tantino più complesse, ma in linea generale questo è ciò che avviene.

Il lettore è già avvisato che il burro è costituito per almeno l'82% da lipidi, sulla cui qualità torneremo nella seconda parte di questo post. 100 g di burro contengono 250 mg di colesterolo, ma anche vitamine liposolubili come la vitamina A (930 ug di retinolo equivalenti a fronte di un'assunzione quotidiana raccomandata di 700 ug), vitamina E (2,4 mg a fronte di un'assunzione raccomandata di 13 mg di alfa-tocoferolo equivalenti), e vitamina D (0,8 ug a fronte di un'assunzione raccomandata di 15 ug di colecalciferolo, che tuttavia include anche la sintesi endogena della cute). Si facciano le dovute considerazioni e proporzioni, perché 100 g di burro al giorno non potranno di certo essere consumati, non esiste vitamina A che tenga!

Il colore del burro può andare dal bianco al giallo in funzione del contenuto di caroteni, questo dipende principalmente dall'alimentazione degli animali. Dunque il colore sarà chiaro in inverno e più scuro in estate. Le attuali disposizioni legislative consentono l'aggiunta di caroteni come coloranti. 

Il contenuto di vitamina A e vitamina E è influenzato dai grassi e in ultima analisi dall'alimentazione dell'animale. Le condizioni di allevamento delle vacche influiscono sul loro contenuto che è maggiore nel latte e dunque nel burro prodotto da animali allevati al pascolo. 

A questo punto restava solo un ostacolo tra me e i waffles: dove avrei trovato il latticello? Insomma non è che si trovi comunemente in commercio in Italia, anche se non è impossibile reperirlo.

Per latticello o buttermilk, come si diceva in precedenza,  si intende il siero proveniente dalla produzione del burro che, nel caso si ottenga da burro preparato con panna acida, è già fermentato. In caso di burro preparato con panna dolce il latticello viene fermentato alla temperatura di 20-30 °C con tipiche colture da burro: Lactococcus lactis, Lactococcus diacetilactis, Lactococcus cremoris, Leuconostoc cremoris
Si tratta semplicemente di un latte fermentato, ottenuto come "scarto" durante la produzione del burro, con proprietà probiotiche ma caratteristiche nutrizionali simili a quelle del latte scremato.
Il latticello è una buona fonte di proteine (3,3 g/100 g di prodotto), zuccheri tra i quali prevale il lattosio (4,79 g/100 g di prodotto), calcio e fosforo (con valori sovrapponibili a quelli del latte). Il tutto con un contenuto trascurabile di grassi, che rimangono prevalentemente nel burro.

Nella preparazione dei latticini le proteine, costituite da catene di aminoacidi, giocano un ruolo essenziale. Ad un determinato pH possono aggregarsi tra di loro dando luogo alla coagulazione.
Abbassando il pH del latte freddo, ad esempio aggiungendo del succo di limone, le caseine (che assieme alle sieroproteine rappresentano la frazione proteica del latte) si aggregano. 

Ed ecco quindi il  finto latticello! Ho utilizzato 350 ml di latte scremato a cui ho aggiunto 1 cucchiaio di succo di limone. E' importante che il latte venga lasciato riposare per 15-20 minuti dopo l'aggiunta del succo.

Preparazione

Montare le uova con una frusta. Aggiungere il latticello e il burro (precedentemente fuso a bagnomaria). A parte unire la farina, il lievito, lo zucchero e il sale. A questo punto versare sulla farina la crema e mescolare.

E' necessario riscaldare il ferro sul fornello da ambo i lati. Una volta scaldati, i ferri dovranno essere unti con poco burro. Versare un mestolo scarso di pastella, chiudere i ferri e cuocere per circa 2 minuti per lato a fuoco non troppo alto. 

Cosa succede al burro durante la cottura? Il burro è un'emulsione di acqua in grasso: quando viene scaldato a 100°C l'acqua inizia a bollire evaporando. Per intenderci è la schiuma che si forma. Terminata l'evaporazione della componente acquosa la temperatura sale. A circa 120-140 °C la caseina inizia a brunire e si rischia di bruciare tutto! Si tratta del punto di fumo del burro: i trigliceridi si idrolizzano, ovvero la glicerina si stacca dagli acidi grassi con produzione si sostanze nocive come l'acroleina. Il problema potrebbe essere risolto con l'uso di burro chiarificato, che sarà certamente oggetto di futuri post.

Si presti dunque attenzione!

I waffles erano finalmente pronti! La sottoscritta li suggerisce con yogurt intero bianco senza zuccheri aggiunti e fragole fresche a dadini. 



Bibliografia:


  • Del Toma E, Romano F, Pizzoferrato L - Libro bianco sul latte e i prodotti lattiero caseari: compendio per medici - Accademia Nazionale di Medicina, Il sole 24 ore Sanità, nov 2007
  • Cappelli P, Vannucchi V - Chimica degli alimenti - Zanichelli editore, 2005
  • Gnagnarella P, Salvini S, Parpinel M - Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia  - Versione 1.2015 Website http://www.bda-ieo.it/
  • US Department of Agriculture, Agricultural Research Service - Nutrient Data Laboratory. USDA National Nutrient Database for Standard Reference - Release 28. Version Current:  September 2015.  Internet: http://www.ars.usda.gov/nea/bhnrc/ndl
  • Bressanini D - Mascarpone fai-da-te -  Le Scienze n.523, mar 2012