domenica 18 settembre 2016

L'impasto che scotta: sai perché la pizza fa venire sete?


Capita, dopo aver mangiato la pizza, di avvertire una forte sete. Le possibili cause vanno ricercate tra gli ingredienti e le fasi di lavorazione di uno dei piatti nazionali per eccellenza.




Foto di Luciano Furia
Ovvero, come diceva Edoardo De Filippo - Adda passà 'a nuttata!-
Capita che, dopo una serata in pizzeria con gli amici, la nottata passi in compagnia della brocca d'acqua, alla ricerca di un sollievo che tuttavia è passeggero. Perché dopo dieci minuti si è punto e a capo a fare i conti con la sete e talvolta con qualche problema digestivo. 


E' una domanda che ricorre spesso. Dove risiede la causa di questi disagi? Nella lievitazione, nella qualità degli ingredienti o nel contenuto di sale?


Per fare chiarezza sulla sentita questione è opportuno comprendere come nasce quello che potrebbe sembrare un semplice impasto di farina, lievito, acqua e sale. Ma non descrivetelo così... almeno non in presenza di Michele Leo, napoletano doc e maestro pizzaiolo con un passato da allievo di Gabriele Bonci e da docente nella scuola di Gambero Rosso, che ha gentilmente accettato di aiutare Ecobriciole a fare luce sui molti quesiti che, è il caso di dirlo, bollivano in pentola.  


By هارون يحيى (Own work)
Ecobriciole. Michele Leo, mi ha detto che preferisce non essere chiamato maestro. D'accordo. Ma qualche domanda indiscreta gliela faccio comunque.  A partire dall'argomento che al momento mi sembra più caldo: la farina. Di grano tenero di tipo 00, 0, 1, 2 o integrale. O di cereali altri dal frumento, come ad esempio il farro. Macinata a pietra o a cilindri. Parliamo di prodotti diversi sia da un punto di vista tecnico sia nutrizionale. Quale farina si presta meglio alla preparazione della pizza?

Michele Leo.  Tutto dipende dal prodotto che vogliamo preparare. Per la pizza napoletana vengono utilizzate esclusivamente la farina di grano tenero di tipo 0 o 00 (sulla base del disciplinare della Pizza Napoletana STG - specialità tradizionale garantita). In tutti gli altri casi, invece, possono essere utilizzate anche farina di grano tenero di tipo 1, 2 o integrale o farine ottenute da cereali diversi dal frumento, come il farro. Nella scelta della farina occorre tener conto soprattutto dell'indice W, che indica la forza della farina, ovvero la sua capacità di assorbire acqua, trattenere anidride carbonica durante la lievitazione e la capacità di espansione al rigonfiamento dell'impasto. La forza di una farina è correlata al contenuto di alcune proteine che, durante l'impastamento, danno origine al glutine. Maggiore è la forza della farina, più è alto il contenuto di glutenina e gliadina che, a contatto con l'acqua, si uniranno a formare il glutine, una sostanza che garantisce all'impasto elasticità e coesione. Quando un prodotto richiede lievitazioni lunghe, ed è il caso della pizza, è opportuno utilizzare farine con W elevato dette "farine di forza". Una farina adatta all'impasto della pizza deve avere un contenuto proteico tra il 10 e il 15% e un indice W tra 240 e 300. Maggiore sarà il contenuto proteico, maggiore l'assorbimento di acqua e dunque l'elasticità.




Foto di Michele Leo
Ecobriciole. Il lettore è avvisato. Se l'impasto batte in ritirata come un paguro, anziché stendersi sulla teglia, la colpa non è del fato avverso. Però questo vale per le farine professionali. Cosa ci consiglia di fare a casa?

Michele Leo. E' vero. I valori dell'indice W di una farina sono disponibili nei prodotti professionali, in genere ottenuti miscelando differenti varietà di grano tenero, ma non sulle confezioni ad uso casalingo. Pertanto in tal caso bisognerà far riferimento al contenuto di proteine. Queste farine, in genere deboli, possono essere miscelate con la farina Manitoba, dall'omonima regione del Canada, che possiede un elevato contenuto proteico. 





Ecobriciole. In molti ritengono che una pizza scarsamente digeribile sia stata realizzata con dosi eccessive di lievito. Quanto lievito è necessario aggiungere all'impasto? Per una buona riuscita è preferibile il lievito naturale o il lievito di birra?


Foto di Michele Leo
Michele Leo. Nella preparazione della pizza possiamo utilizzare sia lievito naturale sia lievito di birra fresco o secco. Senza contare che esistono 3 diverse tecniche di impasto. Naturalmente otterremo prodotti con caratteristiche differenti. Ad esempio con il lievito madre si ottiene una fermentazione differente e un prodotto digeribile, con profumo caratteristico e che si conserva più a lungo. A mio parere è ottima nella preparazione del pane, ma non è detto che sia la scelta migliore per tutti i tipi di impasto. Ad esempio rispetto ad una pizza realizzata con lievito di birra, l'impasto lievitato con lievito naturale presenta un'alveolatura meno ampia, in poche parole la pizza tende ad essere più compatta. Per la pizza napoletana si utilizza lievito di birra perché è necessario che essa sia sottile e che il cornicione sia alveolato. In ogni caso è necessario che i tempi di lievitazione siano lunghi, tanto più lunghi quanto maggiore è la forza della farina. Può capitare che una pizza risulti poco digeribile quando si utilizzano dosi casalinghe di lievito di birra (25 g su 1 kg di farina) con farine ad alto contenuto proteico: il tentativo di abbreviare i tempi di lievitazione non garantisce infatti una perfetta maturazione dell'impasto. A casa basterebbe usare 4 g di lievito di birra. In questo caso è però necessario allungare i tempi di lievitazione: 3 o 4 ore sono decisamente poche!



Foto di Michele Leo
Ecobriciole.  Lo sa che se dice così demotiva i lettori? Insomma la pizza in genere si pensa al mattino e si mangia alla sera! Mi dice che non si tratta di sola lievitazione... ma allora di quanto tempo hanno bisogno i nostri lettori per preparare una pizza?

Michele Leo.  No, non si tratta di sola lievitazione! L'altro elemento è la maturazione dell'impasto. Capita infatti che la lievitazione venga interrotta quando la maturazione dell'impasto, che è più lenta, non è ancora terminata. In questo caso il prodotto è meno digeribile. Il lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae), nutrendosi degli zuccheri derivati dall'amido, produce anidride carbonica e alcol etilico. L'anidride carbonica causa l'espansione della maglia glutinica, facendo crescere l'impasto. Parallelamente alcuni enzimi (amilasi e proteasi), naturalmente presenti nella farina e attivati dall'acqua, attaccheranno gli amidi e il glutine. Questo processo è chiamato maturazione dell'impasto. L'impasto continuerà ad aumentare di volume fino a quando i lieviti troveranno zuccheri di cui nutrirsi e la maglia glutinica continuerà a gonfiarsi fino a quando non verrà distrutta dagli enzimi proteolitici, che rompono il glutine. Ma con il passare delle ore esso diventerà acido e non più lavorabile. Il consiglio è quello di far lievitare l'impasto per non meno di 24 h e fino alle 48 h.  Personalmente scelgo, in alcuni casi, di prolungare la lievitazione fino alle 72 h, ma non tutti sono concordi nel superare le 48 h.  Bisogna inoltre tener conto della temperatura. Il lievito è attivo ad una temperatura compresa fra i 4 e i 25/26 °C: garantire questo intervallo di temperature è essenziale affinché la maturazione dell'impasto possa avvenire durante la lievitazione.




Ecobriciole.  Ascoltando le sue parole, non posso fare a meno di pensare alla Piramide della Dieta Mediterranea. Alla base delle piramidi più recenti non ci sono alimenti, ma attività che hanno sempre fatto parte dello stile di vita dei nostri antenati. Ovvero il tempo dedicato alla preparazione dei pasti e la convivialità. Ma torniamo a noi. Cosa mi dice del sale? Un numero sempre maggiore di consumatori pone attenzione a questo ingrediente e ci sono progetti volti a ridurre il suo contenuto, ad esempio nel pane. E' possibile preparare una buona pizza con un occhio di riguardo al contenuto di sale?

Michele Leo. Il sale serve, naturalmente, a dare sapidità all'impasto. Ma non solo. Contribuisce a mantenere la temperatura, che si innalzerebbe durante la fase di impastamento, al di sotto dei 26 ° C. Quando la temperatura dell'impasto sale al di sopra di questo valore, la lievitazione non avviene in maniera ottimale. Senza contare che si romperebbero le maglie formate dal glutine, necessarie a intrappolare l'anidride carbonica. Il sale inoltre conferisce elasticità, che è una caratteristica fondamentale nella successiva lavorazione della pizza. Ma esistono molte variabili su cui è possibile giocare per contenere il suo utilizzo. Scegliere la farina giusta, ad esempio.  


Ecobriciole.  Questo mi sembra un aspetto davvero interessante. La cucina è anche un laboratorio: attraverso la ricerca nella tecnica gastronomica è possibile migliorare sempre di più anche gli aspetti nutrizionali degli alimenti. Visto che ci siamo, ne approfitto e le rubo ancora qualche minuto. Lei ci chiede un grosso impegno e  non vorrei che i lettori si trovino in difficoltà proprio al momento di infornare.  Può darci qualche consiglio per cuocere nel modo corretto la pizza?


Foto di Michele Leo
Michele Leo.  Io partirei dalla stesura. La preparazione della pizza necessita infatti di tre fasi: impasto, lavorazione (stesura) e cottura. La stesura serve a movimentare in maniera omogenea i gas nell'impasto e si effettua in maniera differente per la pizza napoletana e per quella in teglia. Inoltre la pizza napoletana va cotta nel forno a legna che, come sappiamo, raggiunge temperature molto elevate. Per questo deve essere stesa usando pochissima farina, altrimenti brucerebbe.

Ecobriciole. E si formerebbero gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti considerati critici dall'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), perché collegati all'aumento del rischio di tumori. E' dunque importante che il cornicione non sia bruciato. E' possibile per il consumatore riconoscere una pizza lavorata nei tempi ottimali e cotta nel modo giusto?

Michele Leo. Una buona pizza la si riconosce, dopo la cottura, anche dal cornicione, che deve essere dorato e non troppo chiaro. Questo può avvenire solo se la maturazione è avvenuta correttamente, perché lo zucchero, che si è formato grazie all'azione degli enzimi della farina, caramellizza

Ecobriciole. Insomma la chimica entra in cucina! Il profumo e l'aspetto della pizza sono opera della caramellizzazione degli zuccheri, ma anche della reazione di Maillard, la più importante reazione chimica in cucina. Si tratta di una serie di fenomeni che avvengono a seguito dell'interazione tra gli aminoacidi delle proteine e gli zuccheri, che permettono l'imbrunimento e conferiscono la tipica fragranza della crosta di pane. Tempo e temperatura sono fondamentali per questa reazione. E se la pizza viene stesa in teglia?





Foto di Michele Leo
Michele Leo. La pizza in teglia va cotta mediamente per 20 minuti, regolando la temperatura del forno tra i 250 e i 300 °C. La cottura è un passaggio cruciale perché fa si che tutti gli sforzi fatti ci permettano di ottenere il risultato sperato. Consiglio di iniziare la cottura nel binario più basso del forno e di girare la teglia durante la cottura. In questo modo la teglia si riscalderà prima, permettendo alla pizza di gonfiarsi e di diventare più soffice. Nei forni professionali esistono procedure diverse. La teglia potrà essere spostata nel binario più alto del forno per gli ultimi 5 minuti di cottura, naturalmente dopo aver aggiunto la mozzarella. 












Un sentito ringraziamento a Michele Leo per la gentilezza e la disponibilità nel condividere il suo prezioso sapere. La sottoscritta, dal canto suo, si è ampiamente divertita a indossare i panni della reporter per un pomeriggio. Quasi quasi ci prende gusto.

A questo punto una cosa è chiara: la pizza è qualcosa di vivo. A partire dai lieviti utilizzati, microrganismi che rendono un grande servigio.



I, ElinorD [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)


Nel caso del lievito di birra siamo al cospetto di Saccharomyces cerevisiae, fungo unicellulare "addomesticato" migliaia di anni fa per la produzione di vino, pane e birra. Creatura versatile, se la cava sia in presenza sia in assenza di ossigeno. In presenza di ossigeno, quando viene aggiunto all'impasto, trasforma gli zuccheri presenti nella farina in acqua e anidride carbonica. Successivamente, in assenza di ossigeno, realizza il processo di fermentazione, ovvero converte il glucosio in anidride carbonica e alcol etilico. E da tutte queste reazioni guadagna energia (con una resa maggiore in presenza di ossigeno). Perché l'impasto lieviti e si gonfi sono fondamentali l'amido, parzialmente solubilizzato durante le procedure di impastamento, e il glutine, che forma una rete nelle cui maglie resta intrappolata l'anidride carbonica. Naturalmente la presenza di glutine rende questo alimento non adatto in caso di celiachia.







Quando si tratta di lievito naturale la faccenda si fa più complessa. Al suo interno infatti si trovano, oltre ai lieviti del genere Saccharomyces, anche batteri lattici.
I batteri lattici effettuano la fermentazione lattica, che è diversa dalla fermentazione alcolica di Saccharomyces cereviasiae. I prodotti di tale metabolismo sono infatti acido lattico, acido acetico, acqua, anidride carbonica e alcol etilico. La microflora del lievito madre non è mai la stessa e la sua composizione dipende dai microrganismi presenti nei cereali, nell'acqua e nell'ambiente. L'utilizzo del lievito naturale conferisce sapore e aroma caratteristici, maggiore durata e digeribilità dei prodotti a causa di una più alta produzione di peptidi e aminoacidi liberi. La presenza di batteri lattici e il lungo tempo di lievitazione permettono, inoltre, l'abbattimento dei fitati (ad opera delle fitasi batteriche), fattori antinutrizionali che chelano minerali come il calcio e il ferro, diminuendone la biodisponibilità soprattutto nei prodotti integrali. L'acido lattico e l'acido acetico possiedono attività antimicrobiche e sono molecole generalmente prodotte dai ceppi probiotici. L'acido acetico, in particolare, contribuisce al benessere delle cellule che costituiscono la parete intestinale.

Mentre i microrganismi sono alacremente impegnati nella fermentazione, gli enzimi presenti nella farina (amilasi e proteasi) vengono attivati dall'acqua e scindono l'amido e il glutine. Questo processo è essenziale perché la pizza sia digeribile. Ma attenzione: la maturazione è un processo molto più lento della lievitazione, soprattutto quando vengono utilizzate farine di forza. E' necessario dunque rallentare la lievitazione, conservando l'impasto in frigorifero sopra i 4°C tra le 24 e le 48/72 h.

La pizza può risultare poco digeribile e far venire sete quando:
  • vengono aggiunte massicce dosi di enzimi (oltre a quelli naturalmente presenti nella farina) per velocizzare i tempi di lavorazione;
  • vengono aggiunte elevate quantità di lievito nel tentativo di abbreviare i tempi di lievitazione (non garantendo in questo modo il tempo necessario per una perfetta maturazione);
  • la maturazione e la cottura non avvengono nel modo corretto.

La parziale degradazione della rete glutinica, che avviene durante la maturazione, espone maggiormente i granuli di amido in essa contenuti all'attività delle amilasi (gli enzimi deputati alla demolizione dell'amido). Se la pizza viene stesa e infornata prima che la maturazione sia avvenuta il lavoro per l'apparato digerente è maggiore: l'organismo umano richiede l'acqua necessaria alle reazioni enzimatiche che scindono l'amido. E la nottataccia ha inizio...

Volutamente non sono stati trattati in questa sede gli aspetti legati alla qualità delle farine e alle proprietà nutraceutiche della pizza. Tale è, a parere della scrivente, la loro complessità da meritare un futuro spazio tutto loro.

Allora, siete pronti a mettere le mani in pasta?



Bibliografia:
  • Cappelli P, Vannucchi V - Chimica degli alimenti - Zanichelli editore, 2005
  • This H - Pentole & Provette -  Gambero Rosso Edizioni, 2003
  • Fuso Silvano - Chimica quotidiana - Carrocci editore, 2014
  • Barham P - La scienza in cucina - Bollati Boringhieri ed, 2007
  • Smith F, Pan X, Bellido V, Toole GA, Gates FK, Wickham MSJ, Shewry PR, Bakalis S, Padfield P, MillsENC - Digestibility of gluten proteins is reduced by baking and enhanced by starch digestion - Mol Nutr Food Res, 2015; 59, 2034-2043