domenica 12 gennaio 2020

Arrivederci cara amica, sorella, specchio







Morgana non c'è più. Mi manca il respiro a scriverlo. 



E' sopravvissuta alle percosse, al canile, ad una stilettata nel petto e a tutta una serie di gravi patologie che non starò qui ad elencare, visto che lei non le ha mai filate di striscio. Semplicemente dopo 14 anni di vita, di cui 10 passati sempre al nostro fianco, ha deciso di proseguire il viaggio.


Lo ha fatto, tanto per cambiare, quando ha deciso lei, spegnendosi fra le nostre braccia. O meglio tra le braccia della dolce metà. Perché io, che non ero assolutamente d'accordo, correvo a perdifiato verso la clinica urlandole di respirare. E lei, per l'ultima volta, ha fatto esattamente il contrario.

La mia amica Viviana ha detto - Non è giusto, ma è tutto giusto. 
Io aggiungerei, più che altro inevitabile e irreversibile. Che ci piaccia o meno. 
Ma siccome oggi celebriamo Morgana, la Grande Ponga, seguiremo il suo primo insegnamento.

Quando non comprendi qualcosa mangiala. Se non è commestibile giocaci.

Non starò qui a dilungarmi con melensi panegirici, li avrebbe detestati. 



Il nostro amico Michele disse - Meglio morsi, che rimpianti!
La Ponga, in realtà, era una simpatica canaglia. Pallinomane ed egocentrica, amava a suo modo il genere umano. In particolare idolatrava la dolce metà (suo unico ed imperituro amore, io ero l'altra), amava tutti coloro che, terrorizzati dai canidi, le stavano alla larga (arrivando addirittura a strusciarsi a questi involontari oggetti di amore)  e poi altre due o tre persone che, per pura caparbietà o perché simili, decidevano di entrare in relazione con lei. Operazione che poteva richiedere dai sei mesi ad un anno. 

Tutti gli altri semplicemente non li degnava di uno sguardo. La Ponga non perdeva tempo ed energie a detestare.  A meno che non si trattasse dei veterinari (che la ricambiavano caldamente, tranne nel caso del nostro ultimo dottore, Angelo di nome e di fatto)  o di qualcuno che aveva l'ardire di accarezzarla senza prima essersi presentato (e d'altronde voi come reagireste se uno sconosciuto vi palpeggiasse al semaforo?). La faccenda non cambiava neppure con le opportune presentazioni. Come vi ho detto, chi desiderava diventare amico della Ponga doveva lavorare per sei mesi buoni. 

L'amicizia va coltivata, dovreste saperlo.





La Ponga all'area di sgambamento cani ci andava di notte. A mia discolpa posso dire che lo facevo perché detesto i conflitti, non mi piace discutere a meno che io non sia costretta. Ne soffro tantissimo.
Ma alle volte sono inevitabili. E sia. Mai tirarsi indietro quando qualcuno vuole prenderti la pallina.

La Ponga giocava nottetempo con la sua pallina nell'area sgambamento cani, per l'appunto. Quando un losco figuro, accompagnato da 80 kg di mastino danese urlava dal cancello la fatidica frase.
- Ma è femminaaaaaaaaaaaaaaaaaa? Il mio è maschiooooooooooo

Ecco, e cosa dobbiamo farne? Vogliamo sfornare dei cuccioli di T-rex?

Prima che io potessi recuperare il cane e uscire, la montagna correva festosa e decisa verso la Ponga. La quale, va detto, continuava ostinata ad ignorarlo. Mentre io, conoscendola, mi appellavo a Odino, Zeus e tutti gli dei dell'Olimpo. Meglio non dimenticare nessuno.
Nel frattempo la montagna, comprensibilmente ammaliato dalla Ponga, tentava ogni tipo di approccio. E, non pago, tentava di coprirla. La famosa goccia che fa traboccare il vaso. Prima che mi venisse un coccolone, Morgana aveva già poggiato la pallina, si era girata incredula e con un balzo felino era salita sulla pancia del goffo pretendente. Ruggendogli sul grugno. Lei non ringhiava, ruggiva. Dopo alcuni interminabili istanti e la resa incondizionata del goffo pretendente, lo stesso si rialzava mesto e piagnucolando raggiungeva il suo proprietario che esclamava - Il tuo cane è cattivo!

Intanto del tu lo dai a qualcun altro. Pertanto, mentre ringraziavo Odino e tutti gli altri, gli rispondevo - E lei è un grandissimo villano! Insegni al suo cane le buone maniere!

E così dicendo mi allontanavo sdegnosamente, prontamente raggiunta dalla Ponga che procedeva impettita e con la pallina in bocca.

Mai ferire o fare del male, se basta semplicemente ruggire.

Ecco, questa era la Ponga. Per quanto, prima di arrivare a noi, fosse stata picchiata e maltrattata fino ad avere i denti spezzati, aveva imparato a risparmiare gli altri. Non si fidava mai del tutto purtroppo. Ma sapeva difendersi, senza ferire davvero. Si può fare, lezione imparata.




Non abbiamo mai capito se siamo stati noi a scegliere la Ponga, o la Ponga a scegliere noi.
Al canile, chiunque abbia varcato quel cancello potrà comprenderlo, tutti i cagnolini guaivano dietro le gabbie. E mentre io rimuginavo su un modo per portarmeli tutti a casa, la dolce metà si fermava davanti ad una gabbia. Dove c'era l'unico cane che non ci calcolava minimamente. Era li, al centro della gabbia, seduta modello "monumento nazionale" e ci guardava silenziosa e fiera.

La dolce metà esclamava - Quanta dignità possiede questo cane, seppur nella sofferenza!

Accidenti a noi e al nostro maledetto vizio di antropomorfizzare gli animali! Non ci avremmo messo molto a comprendere che in quel momento il cane non si era minimamente calato in una tragedia shakespeariana. Conoscendola, stava senz'altro pensando -Umani scapestrati, non vi azzardate a darmi noia!

Fatto sta che, cinque minuti dopo, guardandosi rapidamente alle spalle saltava nella nostra macchina. 
La direttrice del canile, attonita, affermava - Ma sicuri di volerla prendere così, senza pensarci?
Ma il cane era già in auto e le faceva l'elegante gesto dell'ombrello dal finestrino.

Già, sicuri di volerla portare a casa senza pensarci un attimo?  No, nessun eroismo da parte nostra. Noi, molto semplicemente, non avevamo capito nulla. Non sapevamo nulla di cani, non avevamo la benché minima idea di cosa volesse dire avere a che fare con un cane maltrattato e non socializzato.

Sapevamo solo che l'avevano trovata, qualche mese prima, nei pressi del canile. Legata ad un albero e con la museruola. Digiuna probabilmente da giorni. Con la museruola perché, su questo non ho dubbi, la Ponga aveva senz'altro dato il benservito al criminale che l'aveva ridotta in quelle condizioni. Brava ponghina, quando ci vuole ci vuole.

Presto ci saremmo dovuti accorgere che da soli nulla potevamo, avevamo portato a casa un cane inferocito come una puzzola e che soprattutto aveva deciso di poter fare a meno degli umani.  E fu così che Simone Zoboli, l'istruttore cinofilo che ci ha aiutati a rimettere insieme i pezzi, è entrato nelle nostre vite dicendoci - Non vorrete mica gettare la spugna?
Mai. Io sono sempre dalla parte delle minoranze oppresse. La Ponga ce l'avevo già nel cuore. 

Simone è stato l'angelo custode della Ponga, seguitelo su About dogs Italia
E mentre lui, dopo due anni di lavoro, sentenziava orgoglioso - Bene ragazzi, ora voi avete gli strumenti per seguire anche un Rottweiler da lavoro!
La dolce metà faceva outing - Veramente a me piacciono i barboncini...





Nel frattempo la Ponga aveva imparato perfettamente a fare il seduto, il terra e a camminare al ginocchio senza farci finire col muso sui sanpietrini. Non mordeva più, però ruggiva per avvisare che le stavi sonoramente sulle scatole. Poi se le persone non capiscono, il problema non era il cane. Ma questo è un altro discorso. 

La farò breve. Morgana, la Ponga per l'appunto, è stato un cane "figo" dal primo giorno in cui è entrata nelle nostre vite fino al terribile giorno in cui ci ha lasciati. E' stata la fiera e quieta guardiana della nostra casa, silenziosa, ma sempre presente. 

Sono riuscita a non piangere fino a questo momento, ma temo che potrei perdere la forza ripensando al suo testolone peloso che si appoggiava silenziosamente sulla gamba per prendere una carezza. Di più no, non esageriamo. Poi qualche bacino lo dava lo stesso ogni tanto, e per lei era tutto.

Non esiste un ricordo, una vacanza, una passeggiata, un matrimonio, una cena con amici (che si erano abituati e affezionati a questa particolare presenza e che la Ponga l'hanno amata così com'era) in cui lei non sia stata presente. 

Morgana non c'è più, ma la Ponga vivrà per sempre. Questo soprannome sdolcinato che io (avevate dubbi?) le avevo dato senza sapere che a Bologna significasse ratto (non topino, proprio pantegana) e che fa rotolare dalle risate la mia amica Livia, ogni volta che ne parliamo.

La Ponga vivrà per sempre perché è diventata la rappresentazione vivente che esiste il riscatto e che ci sono le seconde possibilità. La sua è la storia di tutte le sgangherate creature umane e non che hanno paura. La Ponga siamo noi, che nonostante tutto possiamo essere amati e possiamo amare. 

Perché questo è stato l'ultimo dono della Ponga. L'immenso e inaspettato amore che ci ha avvolti. Le persone che hanno pianto con noi e che non ci hanno lasciati soli un minuto. D'altronde c'è una piccola Ponga in ognuno di noi. Amiamola per questo.

La mia amica Debora, mentre piangevamo al telefono mi ha detto - Adesso la Ponga è diventata puro amore.

Eh si, Debby, hai ragione tu. Alla fine è tutto quello che resta.


Il vero amore non muore mai