mercoledì 31 gennaio 2018

Microplastiche in mare (parte 2): dal pesce alla tavola, quali conseguenze per l'uomo? Settimana 7 #SaveHumansThursday.



Numerose indagini hanno rivelato la presenza di microplastiche nell'intestino di molte specie ittiche comunemente consumate.  Una delle principali preoccupazioni riguarda la capacità delle microplastiche di essere trasferite ai tessuti dopo l'ingestione attraverso il cibo. Le nanoparticelle possono addirittura penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze sulle salute. Non esistono, tuttavia,  al momento dati sufficienti relativi a presenza, tossicità e destino di tali materiali al fine di una completa valutazione del rischio. 



by NOAA

Le strade della plastica sono infinite ... e spesso portano agli oceani. Quanta plastica finisce nel mare e qual è il suo destino? Ne abbiamo parlato alcune settimane fa su Ecobriciole per i giovedì del progetto SaveHumansThurday. I più curiosi troveranno tutte le informazioni in questo articolo.
La plastica costituisce il 60-80% dei rifiuti marini e si stima che 5,25 trilioni di detriti di plastica galleggino negli oceani, con conseguenze sulla fauna e potenzialmente anche sulla salute umana. La plastica in mare ha molti volti. Ciò che finisce in mare sotto forma di reti, sacchetti e bottiglie (solo per citare alcuni esempi) viene frammentato dall'azione di vento, onde e raggi ultravioletti in sfere, frammenti o fibre di piccole dimensioni definiti microplastiche (se di lunghezza inferiore a 0,5 cm) o nanoplastiche (se di lunghezza inferiore a un micron).
Alcuni frammenti nascono già microscopici, come ad esempio i microgranuli contenuti in scrub o nei dentifrici, oppure le fibre liberate dall'abbigliamento sintetico durante i lavaggi.



Se gli oggetti in plastica di grosse dimensioni deturpano il mare e le spiagge, oltre a  rappresentare un grave pericolo per molti animali marini, le micro e nanoplastiche sono anche più subdole.




Questi microscopici frammenti, praticamente onnipresenti sui fondali, sulle spiagge e persino nei ghiacci artici, vengono ingeriti accidentalmente o scambiati per cibo dalla fauna marina. E in questo modo potrebbero entrare nella catena alimentare all'apice della quale troviamo anche l'uomo, con conseguenze ancora poco conosciute

La plastica, infatti, è stabile e resistente, può durare centinaia o migliaia di anni. Ma il problema è ben più complesso.
Durante la produzione della plastica vengono utilizzati additivi (plastificanti, antimicrobici, ritardanti di fiamma) che possono essere rilasciati in mare. Come se questo non bastasse, i frammenti di plastica sono in grado di adsorbire contaminanti organici persistenti (POPs), come i pesticidi o policlorobifenili (PCB), che vengono successivamente desorbiti, ovvero rilasciati. I POPs sono sostanze chimiche tossiche difficilmente degradabili e bioaccumulative che, dopo il loro rilascio, si diffondono attraverso l'aria, l'acqua e la catena alimentare.

Cosa significa sostanze bioaccumulative? Col termine bioaccumulo si definisce il processo attraverso il quale una sostanza xenobiotica (nel nostro caso additivi e contaminanti che non dovrebbero essere normalmente contenuti nel cibo) è presente negli organismi acquatici, che l'hanno ingerita attraverso il cibo, in una concentrazione superiore rispetto a quella rilevata nell'ambiente acquatico. La concentrazione chimica della sostanza inquinante in questione è maggiore negli organismi all'apice della catena alimentare (i predatori per l'appunto, tra i quali può essere annoverato pure l'uomo) rispetto a quella rinvenuta nelle prede. Si parla allora di biomagnificazione. 





QUANTA PLASTICA C'E' NEL PESCE?

by Algalita Marine Research Foundation
In una recente pubblicazione dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) è stata esaminata la letteratura scientifica sull'argomento. Le conclusioni? Non esistono al momento dati sufficienti relativi a presenza, tossicità e destino di tali materiali al fine di una completa valutazione del rischio. Non esistono dati riguardanti la presenza di nanoparticelle negli prodotti ittici, mentre c'è qualche dato in più rispetto alle microplastiche. Sono state registrate grandi concentrazioni di questi microscopici frammenti nei pesci, anche se per lo più nel tratto digerente che, di solito, viene eliminato. Ovviamente il discorso cambia per novellame, crostacei e molluschi bivalvi (ad esempio ostriche e cozze), poiché in questi casi l'intestino viene ingerito. 





by NOAA
Le microplastiche sono presenti ad esempio nel plancton, sia nell'intestino di alcune specie di zooplancton sia nei tessuti, e potrebbero, anche attraverso questi organismi, entrare nella catena alimentare. Vengono inoltre ingerite dagli invertebrati bentonici come cozze, ostriche, cirripedi e aragoste e sono state trovate nel 30% delle specie di pesci. Uno studio condotto su cozze allevate in Germania, nel Mare del Nord, ha evidenziato la presenza di 40 particelle di microplastica ogni 100 g di cozze. L'83% degli scampi analizzati attraverso un'indagine condotta nel Mare d'Irlanda contiene microplastiche nel tratto digerente. Un'analisi condotta nel Mediterraneo su 121 pesci, incluse specie commerciali come pesce spada o tonno, ha rivelato la presenza di detriti di plastica nel 18% dei campioni. 

Solo per citare alcuni esempi.

Gli organismi marini ingeriscono plastica in molti modi: cozze e ostriche filtrando l'acqua, i pesci attraverso ingestione accidentale (i frammenti possono essere scambiati per prede) o probabilmente di prede contaminate. Una delle principali preoccupazioni è infatti quella che le microplastiche possano trasferirsi e bioaccumularsi attraverso la catena alimentare. Ma non è tutto. E' stato dimostrato che le cozze possono accumulare nell'intestino frammenti fra i 3 e i 9 micron che vengono traslocati attraverso la parete intestinale al sistema circolatorio nel giro di 3 giorni, raggiungendo in questo modo i tessuti dove possono rimanere per 48 giorni. Con effetti biologici ad oggi sconosciuti, che sembrerebbero tuttavia trascurabili sul breve termine. Esperimenti condotti in laboratorio su branzini hanno mostrato, ad esempio, che i pesci nutriti con alimenti contenenti materiali plastici mostravano nel 50% dei casi gravi alterazioni del tratto intestinale. 

I frammenti microscopici si accumulano nell'intestino dei pesci provocando malnutrizione e morte, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, e sono state osservate nell'intestino di 11 delle 20 specie maggiormente utilizzate per scopi alimentari. 




LA POSSIBILE INGESTIONE DI MICRO E NANOPLASTICHE HA EFFETTI SULLA SALUTE UMANA?



by NOAA
Non esistono dati esaustivi riguardo alla quantità di microplastiche ingerite dall'uomo, a seguito di consumo di pesce, e alla loro tossicità - o a quella degli additivi contenuti e dei contaminanti assorbiti - sugli organismi marini e sugli esseri umani. 
Di certo una delle preoccupazioni riguarda le elevate concentrazioni di contaminanti organici persistenti assorbiti e poi rilasciati dalle microplastiche (i policlorobifenili PCB, ad esempio), ma anche la presenza, tra gli altri, di bisfenolo A, un additivo utilizzato durante la sintesi di materie plastiche. Alcuni studi indicano infatti che le microplastiche, dopo l'ingestione attraverso il cibo, possono essere trasferite nei tessuti. Le nanoparticelle possono addirittura penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze sulle salute.

Ad esempio è stato stimato che, nella peggiore delle ipotesi, l'esposizione alle microplastiche dopo il consumo di 225 g di cozze sarebbe di 7 ug, con una trascurabile esposizione ai contaminanti organici persistenti (lo 0,1% dell'esposizione complessiva attraverso i molteplici alimenti che costituiscono la nostra dieta). 

Sembrerebbe inoltre che solo le microplastiche di lunghezza o diametro inferiore ai 150 micron siano in grado di traslocare attraverso l'epitelio intestinale umano, arrivando in questo modo ai tessuti e interagendo, molto probabilmente, con il sistema immunitario



Non esistono al momento dati riguardo al destino e agli effetti delle nanoplastiche sugli organismi marini e sull'uomo. Sappiamo, tuttavia, che tali frammenti possono traslocare attraverso l'epitelio intestinale generando un'esposizione sistemica (ovvero arrivano ai tessuti). Non esistono dati tossicologici, benché siano stati riportati effetti avversi sulla salute umana a seguito di inalazione o attraverso l'uso di protesi di materiali plastici. E' altamente probabile che anche in questo caso, a seguito di ingestione, ci sia un'interazione col sistema immunitario. 
Molti degli additivi e delle sostante contaminanti che ritroviamo nella plastica possono avere effetti significativi sulla salute umana e della fauna. 

Nella letteratura scientifica sono noti i potenziali rischi tossicologici associati all'esposizione a queste sostanze disperse nell'ambiente (è opportuno ricordare che tali dati non riguardano nello specifico l'interazione attraverso microplastiche).

Alcuni esempi:




by EPA
  • Bisfenolo A: possibile interferente endocrino e possibile tossicità durante lo sviluppo di feto e neonato;
  • Ftalati: sostanze tossiche per la riproduzione, ad alte dosi possono causare danni epatici;
  • Nonilfenolo: estremamente tossico per la vita acquatica, interferente endocrino nei pesci; preoccupazione rispetto alla tossicità per la riproduzione e lo sviluppo in fauna ed esseri umani;
  • Polibrominato difenile: potenziale interferente endocrino, soprattutto per quanto riguarda la funzione tiroidea; preoccupazione per gli effetti sullo sviluppo neurologico, il comportamento e il sistema immunitario;
  • Policlorinato bifenile: tossico per sistema immunitario, riproduttivo e nervoso in molti animali; può causare danno epatico e alcuni tipi di tumore. 


Per concludere, la ricerca sulle microplastiche è agli albori. Esistono numerose incertezze e non sono disponibili dati conclusivi circa il loro impatto sulla fauna marina e sulla salute umana. 

Non sappiamo con esattezza quante microplastiche sono presenti negli oceani, se tali frammenti entrino nella catena alimentare, quale sia il loro destino quando vengono ingerite dagli organismi marini, quale sia il loro livello di tossicità (o la tossicità delle sostanze ad essi associate) sulla salute di queste creature e su quella degli essere umani. 

Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.

Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.
Vi aspettiamo giovedì prossimo! 



Bibliografia:


  • EFSA CONTAM Panel (EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain) - Statement on the presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood - EFSA Journal 2016;14(6):4501, 30 pp. 
  • GESAMP - Sources, fate and effects of microplastics in the marine environment: part two of a global assessment - (Kershaw PJ and Rochman CM eds). (IMO/FAO/UNESCO-IOC/UNIDO/WMO/IAEA/UN/UNEP/UNDP Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection). Rep. Stud. GESAMP No. 93, 220 p.
  • Lusher AL, Hollman PCH, Mendoza-Hill JJ -Microplastics in fisheries and aquaculture: status of knowledge on their occurrence and implications for aquatic organisms and food safety - FAO Fisheries and Aquaculture Technical Paper, 2017, No. 615. Rome, Italy.
  • Miller K, Santillo D and Johnston P - Plastics in Seafood- full technical review of the occurence, fate and effects of microplastics in fish and shellfish - Greenpeace Research Laboratories Technical Report (Review), 2016.
  • Shivika S and Subhankar C - Microplastic pollution, a threat to marine ecosystem and human health: a short review - Environ Sci Pollut Res, 2017; DOI 10.1007/s11356-017-9910-8

giovedì 25 gennaio 2018

settimana 6 #SaveHumansThursday. Come Scegliere il caffè- parte 2






54 settimane con #SaveHumansThursday per parlare dell'impatto ambientale del cibo su Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista e Francesca De Filippis - Biologo Nutrizionista Bologna.

Seconda puntata di Save Humans Thursday dedicata al caffè, tanto amato da noi italiani, per capire il suo impatto sull'ambiente. 



Ecco il link all'articolo scritto dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti.

Vi aspettiamo giovedì prossimo!

mercoledì 17 gennaio 2018

settimana 5 #SaveHumansThursday. Plastica e microplastiche nel mare (parte 1): di cosa si tratta?



Negli oceani esistono 5 enormi isole di spazzatura in corrispondenza dei principali vortici subtropicali, formate principalmente da plastica. I frammenti di plastica sono stabili, altamente resistenti e rilasciano nell'ambiente additivi e contaminanti organici persistenti che rappresentano un potenziale rischio per gli ecosistemi.


dolphin plastic bag at fernando de noronha by Jedimentat44
Recentemente una fetta considerevole dell'opinione pubblica italiana si è sollevata. Finalmente, penserà qualche malizioso lettore. Mi duole deluderlo, poiché l'acceso dissenso non ha riguardato importanti temi sociali o ambientali. Insomma le urgenti questioni del nostro tempo.

L'oggetto del contendere sono stati gli oramai famigerati sacchetti di plastica per alimenti che, loro malgrado, sono finiti in prima pagina. La legge n. 123 del 3 agosto 2017 li ha rottamati e così, dal 1 gennaio 2018, sono disponibili solo gli shopper biodegradabili e compostabili a pagamento.

Sarebbe stato auspicabile, a mio parere, intervenire in maniera ancora più incisiva, incentivando ad esempio il riuso. Insomma cosa ne vogliamo fare di tutti gli imballaggi in plastica di cui pullulano i supermercati e non solo? D'altronde tutto è perfettibile, ma la direzione non può che essere questa.

Il fatto poi che i nuovi shopper siano a pagamento può risultare seccante, è comprensibile. Lo è a prescindere dal costo quando un bene, che abbiamo sempre percepito come gratuito, all'improvviso non lo è più. D'altronde i sacchetti di plastica un costo l'hanno sempre avuto. Altissimo. Poiché devono essere prodotti, successivamente raccolti e, nella migliore delle ipotesi, riciclati. Il fatto che da oggi abbiano anche un valore economico per il consumatore, potrebbe aiutarci a comprenderne l'impatto e a farne buon uso.



L'ERA DELLA PLASTICA


by NOAA
  • La produzione mondiale di plastica ammonta a 280 milioni di tonnellate l'anno, nel 2050 si stima che raggiungerà i 400 milioni. L'Europa contribuisce per il 20%, la Cina per circa il 25%, USA, Canada e Messico per circa il 20%. In Europa il 40% della plastica viene utilizzata per gli imballaggi.
  • La plastica può finire in discarica, essere incenerita o riciclata. Il 4-10% della plastica prodotta ogni anno finisce negli oceani, circa 8 milioni di tonnellate, attraverso i fiumi, le acque reflue ma anche per l'abbandono di rifiuti nelle zone costiere e fluviali. Secondo una recente stima 1,15-2,41 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono ogni anno negli oceani attraverso i fiumi, soprattutto nel periodo che va da maggio a ottobre. Il 67% della plastica in mare proviene dai fiumi maggiormente inquinati, soprattutto in Asia. Buona parte delle plastiche che si trovano sui fondali derivano invece dalle attività di pesca e dai rifiuti urbani. In superficie, sia in mare sia sulle spiagge, ritroviamo in ordine di abbondanza sacchetti di plastica, imballaggi vari, reti da mitili e  i bastoncini dei cotton fioc. Che sono più abbondanti dei mozziconi di sigaretta e delle bottiglie per l'acqua.
  • E' stato stimato che la plastica costituisce il 60-80% dei rifiuti marini, in sostanza 5,25 trilioni di detriti di plastica del peso di 268.940 tonnellate galleggiano nel mare. Ma non sono disponibili al momento cifre definitive. Senza contare quelli che si trovano sui fondali o sulle spiagge. Dato ancora più allarmante se pensiamo che la plastica è persistente nell'ambiente e viene dispersa. 
  • Nel Mediterraneo galleggiano 250 miliardi di frammenti di plastica,  sui suoi fondali giacciono tra le 600 e le 3000 tonnellate di rifiuti, prevalentemente plastici. Lungo tutta la costa adriatica italiana c'è una fascia di frammenti di plastica ininterrotta, con una concentrazione di 10 grammi per chilometro quadrato.
by Fangz
  • Negli oceani esistono 5 enormi isole di spazzatura. Migliaia di tonnellate di frammenti di plastica si accumulano in corrispondenza dei 5 principali vortici subtropicali (Nord Pacifico, Sud Pacifico, Nord Atlantico, Sud Atlantico e Oceano Indiano) che, nei loro nuclei più densi, contano milioni di pezzi di plastica per ogni chilometro quadrato. La più grande si trova nel vortice subtropicale del Nord Pacifico: ha un'estensione tra i 700.000 e i 10 milioni di chilometri quadrati con una concentrazione di 3,34 x 106 frammenti di plastica per chilometro quadrato. Questi detriti assomigliano ad una "zuppa" in continuo movimento che si distribuisce sulla superficie ma anche lungo tutta la colonna d'acqua, fino ai fondali. Le conseguenze sugli ecosistemi non sono ancora pienamente conosciute. Ciò che sappiamo è che questo "plancton" di plastica rappresenta un ottimo substrato per i batteri, inclusi quelli patogeni per l'uomo che provengono dalle fognature. Tali batteri potrebbero trovare riparo dai trattamenti a cui vengono sottoposte le acque proprio attraverso questi frammenti di plastica che li trasportano.
  • Ma c'è qualcosa che non quadra, proprio per l'estrema difficoltà nell'effettuare monitoraggi in tal senso. Delle circa 300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno, ne finiscono in mare 8 milioni. Tuttavia una recente indagine ne ha "contate" solo (si fa per dire) 268.000 in mare, il 3%.



DOVE FINISCE IL 95-97% DELLA PLASTICA?




La plastica in mare ha molti volti:



by Noaa
  • Macroplastiche di diametro o lunghezza superiore ai 2,5 cm. Includono sacchetti o bottiglie in plastica i cui effetti sono ben documentati su uccelli, pesci, tartarughe e mammiferi marini. Si va dal soffocamento a causa dell'ingestione a lesioni, anche mortali, dell'apparato digerente, intrappolamento nelle reti abbandonate, con conseguenti ferite mortali o morte per inedia, fino allo strangolamento;
  • Mesoplastiche di diametro o lunghezza compresi fra 0,5 e 2,5 cm;
  • Microplastiche di diametro o lunghezza inferiore a 0,5 cm e dalla forma di sfere, frammenti o filamenti. Possono essere primarie (volutamente realizzate per essere di dimensioni microscopiche come i microgranuli contenuti in molti prodotti per l'igiene personale, scrub o dentifrici, o microfibre liberate dall'abbigliamento sintetico durante i lavaggi e non trattenute dai depuratori) o secondarie (derivate dalla frammentazione delle macroplastiche operata dall'esposizione a  vento, onde e raggi ultravioletti). Non esistono attualmente dati quantitativi definitivi rispetto alla loro presenza in mare;
  • Nanoplastiche, considerate un sottoinsieme delle microplastiche, di diametro o lunghezza inferiore a un micron.


Microplastiche in spiaggia, by Francesca De Filippis
I frammenti di plastica sono considerati abbastanza stabili e altamente resistenti, potenzialmente durano da centinaia a migliaia di anni e il loro destino finale è ancora sconosciuto. Come è possibile che le stime riguardanti la plastica che galleggia sulla superficie degli oceani giustifichino solo il 3% di quella che ogni anno finisce in mare? Dove si nasconde il restante  97%? 

La realtà è che la sua destinazione finale resta per ora sconosciuta e sono state avanzate solo alcune ipotesi.

Le microplastiche sono infatti onnipresenti nei sedimenti costieri (con quantità che variano da 2 a 30 particelle ogni 250 ml di sedimento), nei ghiacci artici e finiscono inoltre sulle spiagge. Questi microscopici frammenti rappresentano un substrato per diverse comunità di microrganismi e alcuni studiosi ritengono che la maggior parte della plastica si trasformi in nanoparticelle. 

Di sicuro plastica e microplastiche vengono ingerite dagli animali marini, entrando in questo modo nella catena alimentare. 

E qui subentra un ulteriore problema. Durante la produzione della plastica vengono infatti utilizzati numerosi additivi (plastificanti, antimicrobici, ritardanti di fiamma) che possono essere rilasciati in mare con conseguenze su tutti gli organismi viventi. È stato inoltre documentato che contaminanti organici persistenti (POPs), come i pesticidi o policlorobifenili (PCB), possono essere adsorbiti dai frammenti di plastica e successivamente desorbiti, ovvero rilasciati. I POPs sono sostanze chimiche tossiche difficilmente degradabili e bioaccumulative che, dopo il loro rilascio, si diffondono attraverso l'aria, l'acqua e la catena alimentare, provocando danni all'ambiente e alla salute umana. 

By MichaelisScientists (Own work)
Il bioaccumulo viene definito come un processo che provoca un incremento della concentrazione chimica di un composto xenobiotico (una sostanza estranea alla sua normale nutrizione) in un organismo acquatico rispetto alla concentrazione presente in acqua, dovuto ad esempio all'assunzione attraverso il cibo. La biomagnificazione è un caso speciale di bioaccumulo in cui la concentrazione chimica del composto inquinante nell’organismo è maggiore rispetto alla concentrazione dello stesso composto nell’organismo che costituisce la sua dieta.



Facciamo un esempio. Anni fa venne condotto uno studio sulle concentrazioni di PCB nelle varie specie di animali che costituivano una catena alimentare nella regione dei Grandi Laghi. Il predatore all'apice di questa catena era il gabbiano reale. Nonostante la concentrazione di PCB nelle acque fosse risultata bassa, la sua concentrazione nelle uova di gabbiano reale era 5000 volte superiore rispetto a quella rilevata nei tessuti delle specie predate.

Gli animali che accumulano direttamente microplastiche sono quelli detrivori e filtratori (come le cozze), anche se l'accumulo diretto è riscontrabile anche ai livelli più alti della catena trofica. E' il caso della balenottera comune, che accumula notevoli quantità di ftalati involontariamente estratti da questi microscopici frammenti. Il processo di biomagnificazione riguarda anche il trasferimento trofico in predatori come uccelli, rettili, mammiferi marini fino ad arrivare all'uomo.

by NOAA
Non conosciamo del tutto gli effetti dell'ingestione delle microplastiche e dei contaminanti nei vari livelli della catena alimentare, ma i rischi potenziali sugli ecosistemi sono molti
Ne parleremo nelle prossime settimane in due articoli che completeranno questa serie sulle microplastiche: uno dedicato ai rischi per la fauna e uno dedicato ai rischi per la salute umana. 


I dati a disposizione devono far riflettere, ma soprattutto correre ai ripari. Non è possibile, al momento, ripulire interamente oceani e spiagge dall'immane presenza di plastica. E' necessario dunque rivedere drasticamente il modo in cui la produciamo, la consumiamo e la smaltiamo.

Nel mare ci sono anche i nostri sacchetti di plastica. Siamo parte del problema, non possiamo illuderci che non dovremo rinunciare a nulla per iniziare ad essere una piccola parte della soluzione.  

Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.

Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.

Vi aspettiamo giovedì prossimo! 


Bibliografia:

  • Cozar A et al. - Plastic debris in the open ocean - PNAS, 2014, 111 (28):10239-10244;
  • Eriksen M et al. - Plastic pollution in the world's oceans: more then 5 trillion plastic pieces weighing over 250,000 tons afloat at sea - PLOS ONE, 2014: DOI:10.1371/journal.pone.0111913;
  • GESAMP - Sources, fate and effects of microplastics in the marine environment: part two of a global assessment - (Kershaw PJ and Rochman CM eds). (IMO/FAO/UNESCO-IOC/UNIDO/WMO/IAEA/UN/UNEP/UNDP Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection). Rep. Stud. GESAMP No. 93, 220 p;
  • Law KL and Thompson RC - Oceans. Microplastics in the seas - Science, 2014, 345 (6193): 144-5;
  • Lebreton LCM et al. - River plastic emissions to the world's oceans - Nat Commun, 2017, 8:15611;
  • Miller K, Santillo D and Johnston P - Plastics in Seafood- full technical review of the occurence, fate and effects of microplastics in fish and shellfish - Greenpeace Research Laboratories Technical Report (Review), 2016.

mercoledì 3 gennaio 2018

settimana 3 #SaveHumansThursday. Overfishing: quale pesce scegliere?


Gli oceani sono impoveriti dal sovrasfruttamento delle risorse ittiche, conosciuto anche come overfishing, una delle più grandi minacce agli ecosistemi marini. Secondo le Nazioni Unite fra 40 anni potrebbero non esserci più pesci negli oceani. Dobbiamo dunque rinunciare al pesce? No, ma imparare a consumarlo con intelligenza. 



- Mi raccomando, consumi pesce almeno due volte a settimana -

Questo è il consiglio che ogni nutrizionista - la sottoscritta non fa eccezione - ripete millemila volte al giorno. A questo punto il paziente, che oramai conosce benissimo le innegabili proprietà nutrizionali di questo alimento, fissa il professionista con un'espressione a metà tra la rassegnazione e la mestizia. Lui sta pensando al merluzzo surgelato che troverà al supermercato sotto casa. 
Tutt'al più all'orata o alla spigola, rigorosamente allevate, che potrebbe prendere al sabato. Se gli va bene.
Beninteso, il pesce gli piace molto. Al ristorante però. Perché quando si trova davanti a quel banco pieno di creature mitologiche lui non sa più che pesci prendere. Quali prodotti scegliere, come pulirli, come conservarli. E poi vanno cucinati. Non è banale se l'alimento in questione non ha mai fatto parte della tradizione alimentare della famiglia.

Ma lo fa, ci prova. E al primo controllo esordisce – Dottoressa, ho mangiato il pesce come mi ha detto lei! Ho preso il p.. pong, insomma come si chiama quel bagaglio li? -

Siamo a Bologna. Qui qualsiasi oggetto (o persona) percepito come un attrezzo inservibile che non svolge nessuna funzione utile è un “bagaglio”. Io, abruzzigena trapiantata a Bologna da vent'anni, ci ho messo un po', e più di una situazione tragicomica, per impararne il significato. Ma pian piano ci sono riuscita.

- Intende il pangasio? -
- Si, si “LUI”! E poi anche il merluzzo surgelato. L'ho lessato per 20/30 minuti in acqua. Dottoressa io l'ho mangiato perché mi ha detto lei di farlo, ma era veramente cattivo! -

E ha ragione lui, il paziente. Però cavoli … insomma ci ha provato, si è impegnato. Non è affatto semplice cambiare le proprie abitudini a tavola, chi svolge la mia professione lo sa bene. Con quale coraggio può un nutrizionista aizzarsi anche di fronte ad un innocente merluzzo?

- Insomma, sono anni che VOI nutrizionisti ci dite di mangiare il pesce. D'altronde lo zucchero è veleno, le farine raffinate non ne parliamo, la carne fa male e inquina, mangiamo tonnellate di legumi (anche quando soffriamo di colite) perché è scritto su tutte le riviste. Adesso non possiamo mangiare neanche il pesce? -

E poi ti guarda, il paziente, come se avesse davanti la Signorina Rottermeier.

Dunque “anche” il merluzzo è un problema?
Dipende.

by John Wallace, NOAA
Gli oceani sono gravemente malati, non ci sono dubbi. Meglio sarebbe dire impoveriti dal sovrasfruttamento delle risorse ittiche, conosciuto anche come overfishing, una delle più grandi minacce agli ecosistemi oceanici. Ovvero la pesca esercitata in misura eccessiva o in tempi e modi tali da mettere a rischio la possibilità di riproduzione e quindi la sopravvivenza di specie ittiche.

Secondo le Nazioni Unite fra 40 anni potrebbero non esserci più pesci negli oceani. Se non faremo nulla, i più giovani potrebbero vedere un mare senza vita.

Ogni anno nel mondo vengono pescate circa 93 milioni di tonnellate tra pesce, molluschi e crostacei selvatici. Per 1 miliardo di esseri umani rappresentano l'unica fonte di sostentamento.



In Italia nel 2012 sono state consumate 200.000 tonnellate di pesce appartenente, tuttavia, a non più di 10 specie: tonno, spigola, orata, sogliola, nasello, triglia, seppia, calamaro, polpo e gamberi. Senza contare i filetti che si trovano sui banchi, prevalentemente persico e pangasio (che per intenderci è pesce gatto). Sono entrambe specie allevate in acqua dolce.



I Dati



Una focena intrappolata, by NOAA
- il consumo pro capite di pesce è raddoppiato negli ultimi 50 anni;

ad oggi circa il 30 % degli stock ittici mondiali è sovrasfruttato e il 60% è pienamente sfruttato. Una popolazione si dice pienamente sfruttata quando lo stock produce catture che coincidono o sono molto simili alla produzione massima sostenibile (il rendimento che si ha in corrispondenza del massimo tasso di crescita). Per questi stock non esistono ulteriori margini di aumento della produzione e senza un'adeguata gestione potrebbe esserci rischio di declino. Uno stock sovrasfruttato produce un rendimento minore rispetto al suo potenziale biologico. Ovvero il prelievo è superiore al tasso di crescita della popolazione;

- le tecniche di pesca non selettive causano ogni anno 38,5 milioni di tonnellate di catture accidentali. Circa il 40% del pescato mondiale è rappresentato da animali marini che vengono uccisi in modo non intenzionale. Spesso vengono scandalosamente rigettati in mare morti, moribondi o gravemente feriti. Stiamo parlando di 300.000 tra delfini e piccole balene, 250.000 tartarughe marine, 300.000 uccelli marini.

Novellame, by Civa61
- circa il 28% del pescato mondiale è frutto di pesca illegale. Le violazioni includono la cattura di individui di taglia non adeguata (giovani), la pesca durante il fermo per il periodo riproduttivo (ad esempio quella delle triglie durante la primavera e l'estate, nel loro pieno periodo riproduttivo), l'ingresso delle imbarcazioni nelle aree protette;

-  nel Mediterraneo l'88% degli stock ittici per i quali si dispone di dati sufficienti è sovrasfruttato;

- più del 50% delle importazioni avviene da paesi in via di sviluppo;

- le riserve marine, che potrebbero contribuire alla protezione degli ecosistemi marini, coprono attualmente solo lo 0,6% delle acque mondiali. Nel 99,4% delle acque è possibile pescare. La riduzione dello sforzo di pesca attraverso la creazione di riserve marine è uno dei possibili rimedi allo svuotamento dei mari.




Cosa Possono Fare i Cittadini


Questi dati parlano tristemente da soli. Superato l'inevitabile e comprensibile magone, sappiate che le soluzioni esistono, a patto che siamo disposti a rivedere il modo in cui acquistiamo e consumiamo.
E' necessario prendere coscienza che il problema riguarda tutti noi, non solo chi è chiamato a compiere scelte politiche, che pure sarebbero essenziali.

Dobbiamo dunque rinunciare al pesce? No, ma imparare a consumarlo con intelligenza. Eh si, magari con qualche piccolo sforzo in più. Non pensate che possa valerne la pena?

Dunque come scegliere il pesce? Per iniziare ecco alcuni semplici suggerimenti:

-  Andiamo a spulciare i ricettari regionali e rispolveriamo le ricette della nonna. Fino agli anni '50 gli abitanti dei luoghi marittimi mangiavano pesci d'acqua salata, quelli delle regioni interne pesci di fiume, di lago o conservati. Oggi è possibile reperire tutto ovunque, ma è necessario tenere a mente che a risentirne è il patrimonio ittico;


Palamita, by Sherman Foote Denton 
- Superiamo la mentalità del trancio che si cuoce in due minuti e riscopriamo le specie “povere” o “neglette”, che sono ottime ed infinitamente più economiche. Le famose creature mitologiche per intenderci. Alcuni nomi? Aguglia, sugarello, sgombro, palamita, lampuga, zerro ad esempio. Possono ricavarsene comodissimi filetti da cuocere velocemente. Se non ve la sentite potete delegare al pescivendolo, dopo due o tre volte vi odierà di meno, provare per credere. Se poi gli chiederete di sfilettare 1 kg di alici … beh li ha ragione lui però!

- Per un po' meglio evitare tonno rosso, pesce spada, salmone, squali. La pesca intensa li ha portati oramai sulla soglia dell'estinzione. Il danno provocato dall'estinzione delle specie predatrici è incalcolabile e potrebbe avere conseguenze devastanti sull'equilibrio della catena alimentare e dell'ecosistema marino. Palombo, smeriglio, spinarolo, squalo volpe e verdesca sono squali! Cernia bruna, merluzzo atlantico e merluzzo giallo, pur non essendo ancora in pericolo d'estinzione, non se la passano proprio bene. Saggio sarebbe ridurne il consumo.


by C. Ortiz Rojas, NOAA
- Scegliete anche sulla base degli attrezzi da pesca usati nella cattura. Devono essere indicati… altrimenti chiedete al pescivendolo. Temete di passare da rompiscatole? Non vi preoccupate, la benevolenza del pescivendolo ve la siete giocata quando gli avete chiesto di sfilettare un kg di alici. Peggio di così non potrà andare. Ad esempio la pesca a strascico è praticata dal 30% della flotta peschereccia italiana e si usa per catturare gamberi rossi e rosa, scampi, canocchie, sogliole, rane pescatrici, palombi, seppie, calamari, moscardini e polpi. E' una delle tecniche più dannose perché porta al rastrellamento e alla distruzione dei fondali marini e di tutto ciò che trovano lungo il loro percorso. Anche i tremagli, reti ancorate al fondo marino e che restano sospese appena sotto la superficie dell'acqua, possono causare la morte di pesci e mammiferi marini di una certa taglia che vi restano impigliati;

- Prediligete i prodotti della pesca artigianale e locale (per il Mediterraneo le zone FAO sono 37.1, 37.2 e 37.3) di modo da tutelare ambiente, tradizioni, ma anche il reddito delle famiglie impiegate in questo settore;

- Come la frutta e la verdura anche il pesce ha una propria stagionalità, che dipende dal ciclo riproduttivo della specie in questione. Acquistare pesce stagionale significa anche sceglierlo della taglia giusta, evitando gli individui giovani che non si sono ancora riprodotti. Mangiare novellame significa impedire ad una specie di riprodursi. In inverno, ad esempio, sarebbe preferibile acquistare: triglie, rana pescatrice, sarago, ricciola, palamita, sgombro, rombo chiodato, polpo e seppia. Per citarne alcuni.


E' importante sapere che dal dicembre 2014 è necessario comunicare ai consumatori:

1. la denominazione commerciale della specie;
2. il metodo di produzione (pescato o allevato);
3. la zona in cui il prodotto è stato catturato o allevato e la categoria di attrezzi da pesca usati nella cattura di pesci;
4. se il prodotto è stato scongelato.


Tener conto di tutti questi aspetti non è semplice se non si è abituati. Ma pian piano è possibile imparare. Su #SaveHumansThursday, che nasce per fornire suggerimenti pratici che aiutino le persone a nutrirsi in maniera equilibrata rispettando l'ambiente, ne parleremo. A breve approfondimenti sulle tecniche di pesca, le specie allevate, la scelta del pesce e qualche consiglio per poterlo preparare in maniera gustosa.

Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.

Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.
Vi aspettiamo giovedì prossimo! 



Bibliografia


  • AA.VV - Il Pesce, scuola di cucina Slow Food – Giunti, Slow Food Editore, 2013

  • Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) - The State of World Fisheries and Aquaculture. Contributing to food security and nutrition for all - 2016, Rome. 

  • WWF. 2015. Living Blue Planet Report.  Species, habitats and human well-being. [Tanzer J, Phua C, Lawrence A, Gonzales A, Roxburgh T and P Gamblin (Eds)]. WWF, Gland, Switzerland.




54 settimane con #SaveHumansThursday


La Terra può sopravvivere senza gli uomini, gli uomini senza la Terra no

Seguiteci ogni giovedì su Francesca De Filippis - Biologo Nutrizionista Bologna e Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista

Il clima del nostro (unico) pianeta sta cambiando rapidamente sotto i nostri occhi. Gli eventi climatici estremi sono oramai consueti anche sul nostro territorio, l'impatto sull’agricoltura, la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai e la siccità sono solo alcune delle conseguenze. La comunità scientifica è unanime nel ritenere che tali cambiamenti sono provocati e accelerati dalle emissioni di gas serra legate alle attività umane.
Nei paesi occidentali la produzione e il consumo di alimenti sono alla base di un terzo delle emissioni di gas a effetto serra nell'atmosfera, percentuale che supera quella dovuta ai trasporti (18%).
Il cibo è tra le cause del cambiamento climatico.
Ad oggi un terzo della popolazione mondiale ha problemi di nutrizione e, se nulla cambierà, entro il 2020 l'aumento delle temperature potrebbe ridurre del 50% la produzione agricola di alcuni paesi africani e del 30% quella dell'Asia Centrale e del Sud dell'Asia. Aumentando le disuguaglianze e le schiere di “migranti ecologici”. In queste regioni del pianeta l'impatto della popolazione locale sull'ambiente è tra i più bassi al mondo e tuttavia subiscono la maggiore perdita di ecosistemi, pagando il prezzo dello stile di vita di buona parte dei paesi occidentali che, negli anni, hanno mantenuto dei consumi e un'impronta sull'ambiente superiori rispetto alla biocapacità pro-capite del pianeta.
Nel frattempo l'11% delle specie di uccelli, il 18% dei mammiferi, il 5% dei pesci e l'8% delle piante sulla Terra sono in pericolo d'estinzione a causa del degrado degli habitat, dell'eccessivo sfruttamento e dei cambiamenti climatici.
E dagli anni '70 ad oggi il 50% delle specie di vertebrati è oramai estinta.
In molti abbiamo assistito - impotenti - alle terribili immagini, pubblicate dal National Geographic, che documentano gli ultimi istanti di vita di un orso polare mentre muore di fame. Lo scioglimento dei ghiacciai gli aveva impedito di procacciarsi il cibo. L'estinzione, estrapolata da asettiche cifre, è questa.
Risulta evidente che la tutela dell'ambiente, già gravemente compromesso, non è più solo affare di “anime poetiche”. È un grave problema che riguarda noi tutti, è necessario che ne prendiamo atto.
Da biologhe sappiamo bene che l'evoluzione ha intessuto una trama di sottilissimi fili che collegano tutte le creature, ciò che accade a loro prima o poi arriverà anche a noi.
Per questo riteniamo che qui non si tratti di salvare il Pianeta che sarà in grado di adattarsi, con le conseguenti estinzioni di massa, come già avvenuto molte volte nella sua storia. La Terra può sopravvivere senza gli uomini, gli uomini senza la Terra no!
E' necessario nei prossimi 20 anni ridurre del 40 % le emissioni di gas serra pro-capite.
Siamo perfettamente consapevoli della necessità di interventi politici importanti e condivisi tra le Nazioni. Scelte che, con gravissime responsabilità, non ci risultano ad oggi compiute.
Abbiamo pertanto deciso di dare il nostro contributo. La spesa e lo stile di vita rappresentano il primo atto politico di un cittadino.
Ogni giovedì, a partire da oggi e per tutto il 2018, troverete sulle nostre pagine dott.ssa Francesca De Filippis  e dott.ssa Livia Galletti aggiornamenti, informazioni, suggerimenti pratici per abbassare la nostra impronta ecologica a partire dal carrello della spesa, fino ad arrivare alla pattumella dell'organico (perché voi differenziate i rifiuti, vero?).
Può sembrare una piccola goccia in un oceano, ma cosa avverrebbe se tutti i cittadini iniziassero ad assumersi la propria parte di responsabilità nel processo di cambiamento? Noi crediamo che rischierebbero di cambiarle per davvero le cose.
Seguiteci e aiutateci a raggiungere il maggior numero di persone possibile!
Stay tuned!

Bibliografia:


  • FAO - Sustainable diets and biodiversity - 2010
  • WWF - Living Planet Report  - 2014
  • Global Footprint Network – GFN:  www.footprintnetwork.org
  • Nielsen PH, Nielsen AM, Weidema BP, Dalgaard R, Halberg N -  LCA food data base - 2003; available on-line at http://www.lcafood.dk
  • BCFN - Double Pyramid 2015 RECOMMENDATIONS FOR A SUSTAINABLE DIET - 2015