lunedì 4 aprile 2016

I waffles: se il burro incontra le fragole. Parte I

Il titolo suona provocatorio. Me ne rendo conto.
In realtà volevo preparare dei waffles, dolci a cialda diffusi in tutto il Nord Europa con varie denominazioni e ricette. Li adoro.

Spero che il lettore mi perdonerà questa escursione al di fuori della dieta mediterranea, così come viene comunemente intesa. A mia discolpa posso dire che la prima cialda sembrerebbe risalire all'antica Grecia...
Non mancano versioni nostrane come le pizzelle o ferratelle abruzzesi.
Nella speranza che nessuno si offenda nella regione che mi ha dato i natali, devo dire che preferisco largamente la versione scandinava.


Occorrente per 8 cialde:


 "ferri", ovvero le piastre sovrapposte e incise col caratteristico reticolo. Potete osservarne una versione paleolitica qui di fianco,
120  burro,
3 uova,
350 ml di latticello o buttermilk,
400 g di farina di grano tenero 00,
1 bustina di lievito per dolci,
1 cucchiaino di zucchero,
1/2 cucchiaino di sale da cucina.

Seriamente preoccupata da questa miscela che agli occhi di una nutrizionista risultava chiaramente esplosiva, mi sono impegnata a cercare alternative di ogni tipo. In realtà ciascuno di questi ingredienti richiederebbe un approfondimento, cosa che mi riprometto di fare in post futuri.
Ho quindi sostituito il burro con molteplici oli vegetali, la farina 00 con quella integrale e semi-integrale. Ho lottato con la pastella, che come una piovra voleva attaccarsi ad ogni costo alla piastra.
E soprattutto nessuno di questi tentativi mi portava all'agognato waffle. Ovvero qualcosa veniva fuori ed era anche gradevole. Da usare magari come spunto per creare alternative. Ma non aveva nulla a che vedere col waffle.

D'altronde oggigiorno il terrore imperante nei confronti degli alimenti che sono "buoni" o "cattivi", decontestualizzati da qualsiasi visione d'insieme su quella che è l'alimentazione nel suo complesso, non risparmia nessuno. Confido nella comprensione del lettore che, ne sono certa, si sarà spesso trovato in simili ambasce.

Ho quindi deliberatamente scelto di utilizzare il burro e farina 00, appellandomi alle virtù del mio stomaco che, grazie alla presenza dei grassi, avrebbe ritardato e modulato l'assorbimento del glucosio. Dopo questa confortante riflessione sui profili assorbitivi sono tornata alla mia ricetta.

Eravamo al burro. Ma cos'è il burro?
In base alla normativa comunitaria i grassi lattieri sono definiti come i prodotti che si presentano come emulsione solida di acqua in grasso ottenuti dal latte. Tradotto il burro è una emulsione di goccioline di acqua disperse nel grasso. Deve contenere almeno l'82% di materia grassa, non più del 16% di acqua e un massimo del 2% di altri costituenti comprendenti lattosio, proteine e sali minerali.
Le sue caratteristiche nutrizionali dipendono da quelle del latte di partenza, della cui frazione lipidica il burro rappresenta un concentrato. 
Tutto parte dall'estrazione della crema di latte, un liquido giallino e gradevole. A livello industriale viene ottenuta per centrifugazione del latte, operazione attraverso la quale i globuli di grasso  si separano dal latte. Il risultato di tale operazione è la crema dolce. 
La tecnica tradizionale è la separazione per affioramento. La crema acida così prodotta si raccoglie in superficie nel latte lasciato riposare per 15-20 ore a 15°C. Lo stazionamento del latte nelle vasche favorisce la crescita microbica e dunque la produzione di acido lattico e sostanze aromatiche. Dalla crema di affioramento si ottiene un burro più saporito. 

La crema così ottenuta viene a questo punto pastorizzata, ovvero sottoposta ad un trattamento termico che la rende sicura da un punto di vista microbiologico e ne prolunga il tempo di conservazione.

Lattobacilli
La crema dolce porterebbe ad un burro privo di sapore. Per questa ragione, imitando ciò che avverrebbe naturalmente nella separazione per affioramento, è addizionata con colture di batteri lattici acidificanti  (Streptococcus lactis, Streptococcus cremoris) e con batteri che arricchiscono l'aroma (Streptococcus diacetalactis, Betacoccus citrovirus). Ho pensato che il lettore avrebbe gradito una foto di questi laboriosi signori. Dalla loro attività si ottengono le sostanze che conferiscono l'aroma: metilchetoni, lattoni, aldeidi, acidi carbossilici.

La crema maturata viene infine sottoposta a zangolatura, ovvero viene separata in due frazioni attraverso opportuna battitura: il burro grezzo e il latticello che non deve contenere più dello 0,5% di grasso.

In realtà le cose sono un tantino più complesse, ma in linea generale questo è ciò che avviene.

Il lettore è già avvisato che il burro è costituito per almeno l'82% da lipidi, sulla cui qualità torneremo nella seconda parte di questo post. 100 g di burro contengono 250 mg di colesterolo, ma anche vitamine liposolubili come la vitamina A (930 ug di retinolo equivalenti a fronte di un'assunzione quotidiana raccomandata di 700 ug), vitamina E (2,4 mg a fronte di un'assunzione raccomandata di 13 mg di alfa-tocoferolo equivalenti), e vitamina D (0,8 ug a fronte di un'assunzione raccomandata di 15 ug di colecalciferolo, che tuttavia include anche la sintesi endogena della cute). Si facciano le dovute considerazioni e proporzioni, perché 100 g di burro al giorno non potranno di certo essere consumati, non esiste vitamina A che tenga!

Il colore del burro può andare dal bianco al giallo in funzione del contenuto di caroteni, questo dipende principalmente dall'alimentazione degli animali. Dunque il colore sarà chiaro in inverno e più scuro in estate. Le attuali disposizioni legislative consentono l'aggiunta di caroteni come coloranti. 

Il contenuto di vitamina A e vitamina E è influenzato dai grassi e in ultima analisi dall'alimentazione dell'animale. Le condizioni di allevamento delle vacche influiscono sul loro contenuto che è maggiore nel latte e dunque nel burro prodotto da animali allevati al pascolo. 

A questo punto restava solo un ostacolo tra me e i waffles: dove avrei trovato il latticello? Insomma non è che si trovi comunemente in commercio in Italia, anche se non è impossibile reperirlo.

Per latticello o buttermilk, come si diceva in precedenza,  si intende il siero proveniente dalla produzione del burro che, nel caso si ottenga da burro preparato con panna acida, è già fermentato. In caso di burro preparato con panna dolce il latticello viene fermentato alla temperatura di 20-30 °C con tipiche colture da burro: Lactococcus lactis, Lactococcus diacetilactis, Lactococcus cremoris, Leuconostoc cremoris
Si tratta semplicemente di un latte fermentato, ottenuto come "scarto" durante la produzione del burro, con proprietà probiotiche ma caratteristiche nutrizionali simili a quelle del latte scremato.
Il latticello è una buona fonte di proteine (3,3 g/100 g di prodotto), zuccheri tra i quali prevale il lattosio (4,79 g/100 g di prodotto), calcio e fosforo (con valori sovrapponibili a quelli del latte). Il tutto con un contenuto trascurabile di grassi, che rimangono prevalentemente nel burro.

Nella preparazione dei latticini le proteine, costituite da catene di aminoacidi, giocano un ruolo essenziale. Ad un determinato pH possono aggregarsi tra di loro dando luogo alla coagulazione.
Abbassando il pH del latte freddo, ad esempio aggiungendo del succo di limone, le caseine (che assieme alle sieroproteine rappresentano la frazione proteica del latte) si aggregano. 

Ed ecco quindi il  finto latticello! Ho utilizzato 350 ml di latte scremato a cui ho aggiunto 1 cucchiaio di succo di limone. E' importante che il latte venga lasciato riposare per 15-20 minuti dopo l'aggiunta del succo.

Preparazione

Montare le uova con una frusta. Aggiungere il latticello e il burro (precedentemente fuso a bagnomaria). A parte unire la farina, il lievito, lo zucchero e il sale. A questo punto versare sulla farina la crema e mescolare.

E' necessario riscaldare il ferro sul fornello da ambo i lati. Una volta scaldati, i ferri dovranno essere unti con poco burro. Versare un mestolo scarso di pastella, chiudere i ferri e cuocere per circa 2 minuti per lato a fuoco non troppo alto. 

Cosa succede al burro durante la cottura? Il burro è un'emulsione di acqua in grasso: quando viene scaldato a 100°C l'acqua inizia a bollire evaporando. Per intenderci è la schiuma che si forma. Terminata l'evaporazione della componente acquosa la temperatura sale. A circa 120-140 °C la caseina inizia a brunire e si rischia di bruciare tutto! Si tratta del punto di fumo del burro: i trigliceridi si idrolizzano, ovvero la glicerina si stacca dagli acidi grassi con produzione si sostanze nocive come l'acroleina. Il problema potrebbe essere risolto con l'uso di burro chiarificato, che sarà certamente oggetto di futuri post.

Si presti dunque attenzione!

I waffles erano finalmente pronti! La sottoscritta li suggerisce con yogurt intero bianco senza zuccheri aggiunti e fragole fresche a dadini. 



Bibliografia:


  • Del Toma E, Romano F, Pizzoferrato L - Libro bianco sul latte e i prodotti lattiero caseari: compendio per medici - Accademia Nazionale di Medicina, Il sole 24 ore Sanità, nov 2007
  • Cappelli P, Vannucchi V - Chimica degli alimenti - Zanichelli editore, 2005
  • Gnagnarella P, Salvini S, Parpinel M - Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia  - Versione 1.2015 Website http://www.bda-ieo.it/
  • US Department of Agriculture, Agricultural Research Service - Nutrient Data Laboratory. USDA National Nutrient Database for Standard Reference - Release 28. Version Current:  September 2015.  Internet: http://www.ars.usda.gov/nea/bhnrc/ndl
  • Bressanini D - Mascarpone fai-da-te -  Le Scienze n.523, mar 2012




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