mercoledì 11 aprile 2018

Il Glifosato. Parte 1. Cos'è e cosa sappiamo dei suoi effetti sulla salute dell'uomo e dell'ambiente? Settimana 17 #SaveHumansThursday


Alla fine del 2017 la Commissione Europea ha prorogato per altri 5 anni l'autorizzazione al commercio di erbicidi a base di glifosate. Il dibattito è stato acceso e i pareri delle diverse agenzie, preposte al controllo del pericolo e del rischio, discordanti. Se gli studi riguardo gli effetti sulla salute umana non possono ancora essere considerati conclusivi, certe sono invece le conseguenze sull'ambiente. Molte agenzie hanno dichiarato che il glifosate è un fattore importante per la diminuzione della popolazione di uccelli, invertebrati (api incluse), pesci, anfibi e mammiferi attraverso la distruzione dell'habitat ma anche con effetti tossici diretti.





Il glifosato è una sostanza attiva ampiamente utilizzata nei pesticidi. I pesticidi a base di glifosato, che sono formulazioni contenenti anche altri prodotti chimici, sono utilizzati per contrastare le erbe infestanti che competono con le piante coltivate. 

Sono i pesticidi maggiormente utilizzati nel mondo sia nelle colture legnose (uliveti, vigneti, frutteti) sia nelle colture orticole e cerealicole.

Tanto che i dati pubblicati dall'USDA (US Department of Agriculture) nel 2011 testimoniano che il glifosato è stato rinvenuto nel 90% dei campioni di soia destinata all'alimentazione umana. Il prodotto della sua degradazione, l'AMPA (acido aminometilfosfonico), nel 96%.

I dati pubblicati dalla Commissione Europea indicano che il glifosato è moderatamente persistente nel suolo (cioè la sua quantità si dimezza entro i 180 giorni) ed è dunque potenzialmente inquinante per le acque sotterranee. Ma l'AMPA, che è dotato della stessa attività biologica, è più persistente, ha un tempo di dimezzamento fra i 76 e i 240 giorni, pertanto i suoi effetti tossici sugli organismi bersaglio si protraggono nel tempo. Secondo i dati ISPRA del 2013 (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) riferiti alla Lombardia queste sostanze determinano il maggior numero di superamento degli Standard di Qualità Ambientale nelle acque superficiali (per l'AMPA il 79% dei punti analizzati).

Il glifosato è stato commercializzato nel 1974 dalla Monsanto col nome Roundup, ma attualmente il brevetto è scaduto e sono molte le aziende, anche europee, che lo commercializzano.



By Boasiedu
Questi prodotti vengono utilizzati principalmente prima della semina, ma in alcuni Paesi è possibile utilizzarli anche nelle fasi successive. In quest'ultimo caso è necessario, tuttavia, utilizzare piante OGM resistenti al glifosato (che altrimenti le ucciderebbe). Queste piante geneticamente modificate, vendute col nome di Roundup Ready, acquisiscono una tolleranza all'erbicida. In questo caso gli agricoltori devono acquistare ogni anno le sementi brevettate, secondo i contratti firmati coi produttori. Negli USA la Monsanto ha citato in causa numerosi agricoltori per aver violato tali contratti: è impossibile per loro conservare e ripiantare i semi e sono costretti a sostenere costi altissimi ogni anno. 
Per fortuna, ad oggi, tutto questo è vietato in Europa, dove non sono consentite le piante OGM ma è consentita l'importazione dei prodotti. Quindi è possibile consumare carni di animali nutriti con farine di soia o orzo OGM. 

Il discorso OGM è argomento troppo vasto e delicato per poter essere affrontato in poche righe. In attesa di approfondirlo con la giusta attenzione, ci preme sottolineare che ciò che critichiamo non è tanto l'OGM in sè, ma questa maniera di utilizzarlo per via del sistema produttivo iniquo per l'uomo e irrispettoso dell'ambiente che ne consegue. 

Per riassumere, anche se in Italia non si possono coltivare piante OGM si usa ugualmente il glifosato e vengono importati vegetali trattati con questo erbicida (che è stato ritrovato nei prodotti alimentari più comuni, nelle falde acquifere e nelle urine umane).


Il glifosato in Europa: una guerra a suon di pareri e pubblicazioni scientifiche ancora lungi dal vedere la fine.



Proviamo a ricostruire l'intricata storia:




By USDA
- nel marzo 2015 lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro - organismo dell'OMS) pubblica una monografia sul glifosato sulla prestigiosissima rivista The Lancet Oncology. Dopo aver passato in rassegna la letteratura mondiale, il glifosato finisce nella lista 2A, quella dei "probabili cancerogeni" e in grado di danneggiare il DNA. E va a fare compagnia a carni rosse e DDT. Questa lista include le sostanze con limitate evidenze di cancerogenicità per l'uomo e sufficiente evidenza per gli animali. Esistono principalmente studi su topi secondo i quali il glifosato sarebbe in grado di causare tumori ai reni e nel tessuto connettivo. Le sostanze per le quali esiste sufficiente evidenza di cancerogenicità per l'uomo finiscono invece nel gruppo 1;

- pochi giorni dopo la BfR (Istituto Federale per la Valutazione dei Rischi, che fornisce consulenza al governo tedesco in merito alla sicurezza alimentare) pubblica un rapporto che definisce il glifosato non cancerogeno;


- nello stesso anno l'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) riceve mandato dall'Europa per esprimersi riguardo alla faccenda. La Commissione Europea avrebbe dovuto decidere, di lì a poco, se continuare a permettere la vendita di questa sostanza in Europa. E il suo parere, pubblicato nel novembre del 2015, è l'esatto opposto rispetto a quello dello IARC. Secondo l'EFSA "è improbabile che la sostanza sia genotossica (cioè danneggi il DNA) o che presenti una minaccia di cancro per l'uomo". E spiega di essere arrivata a conclusioni differenti rispetto allo IARC poichè quest'ultimo ha esaminato sia il glifosato sia i formulati che contengono glifosato assieme ad altre molecole. La valutazione UE ha considerato solo il glifosato e dunque l'EFSA ritiene probabile che gli effetti genotossici siano imputabili ad altre componenti di questi prodotti formulati.  

Ma, in attesa di ulteriori evidenze, ridefinisce la tossicità del glifosato abbassando la dose giornaliera ammissibile per i consumatori a 0,5 mg/kg di peso corporeo e il livello ammissibile di esposizione dell'operatore a 0,1 mg/kg di peso corporeo al giorno. 

- nel 2016 secondo FAO e OMS (di cui lo IARC è una costola) è improbabile che il glifosato esponga l'uomo a rischio di tumori attraverso il consumo di alimenti.

Le polemiche non si spengono.


By Parkywiki
- nel 2017 viene pubblicata dal Guardian e poi ripresa da New York Times e da Le Monde un'inchiesta scottante, gli arcinoti "Monsanto Papers". Stando a quanto diffuso, alcune parti del documento pubblicato da EFSA, sarebbero copiate dai rapporti di ricerca Monsanto. Questione delicata e spinosa. Perché, se così fosse, vorrebbe dire che esistono interconnessioni tra agenzie che regolamentano l'uso del glifosato e la multinazionale che lo vende. Il primo agosto 2017 lo studio legale Baum, Hedlund, Aristei & Goldman ha citato in giudizio la Monsanto per conto di alcuni clienti che sostengono di essersi ammalati di linfoma non-Hodgkin a causa del Roundup e ha reso noti una serie di documenti interni all'azienda. Questi documenti sono parte di una causa in corso presso la Corte Federale di San Francisco, un processo che aggrega oltre 100 cause simili; 

- il caso rimbalza al Parlamento Europeo che si esprime, dopo innumerevoli proteste da parte di alcuni Paesi e dei cittadini, con parere negativo rispetto al rinnovo della licenza, ma solo a partire dal 2022. 

- il 27 novembre 2017 la Commissione Europea, che doveva decidere riguardo alla proroga dell'autorizzazione al glifosato, l'ha rinnovata per altri 5 anni. Un tempo inferiore rispetto al previsto. Segno dei dilemmi che pure esistono rispetto a questo prodotto. Francia e Italia erano contrarie assieme ad altri 7 Stati, ma è stato determinante il voto favorevole della Germania. 

Sta di fatto che nel 2016 il nostro Ministero della Salute ha vietato l'uso del diserbante in aree frequentate dalla popolazione (parchi, giardini, campi sportivi, ecc) e nelle zone agricole nel periodo che precede la raccolta. Inoltre l'Italia ha adottato disciplinari che limitano l'uso del glifosato a soglie inferiori del 25% rispetto a quelle definite in Europa. Cosa dire, tuttavia, dei prodotti importati?

Nel frattempo dal 2015 El Salvador e Sri Lanka hanno bandito il glifosato e, nello stesso anno, le Bermuda hanno imposto un fermo temporaneo sulle importazioni di diserbanti a base di questa sostanza. 

Dopo innumerevoli botta e risposta a suon di pareri e pubblicazioni, si hanno ancora innumerevoli dubbi e non molte certezze. Per amore di cronaca, alcuni "se" e "ma" tra tutti questi giudizi contrastanti vanno messi.

Lo IARC si occupa di valutare il pericolo e per farlo usa una precisa metodologia: lavori scientifici prodotti senza conflitto di interesse e non supportati da aziende produttrici. Questo ente si occupa però di pericolo, ovvero di classificazione (ci dice se una sostanza ha effetti che devono destare preoccupazione oppure no). Le agenzie come FAO, OMS, EFSA, per citarne alcune, si occupano, invece, di rischio, ossia di definizione di limiti quantitativi e dosi di utilizzo che permettano l'adozione di adeguate misure di gestione per una determinata sostanza. 




Cosa sappiamo ad oggi degli effetti del glifosato?


  • Effetti sull'ambiente. Il grande assente di questa polemica. Eppure secondo l'ECHA, l'Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche, è classificato come sostanza di sintesi con due rischi precisi (ECHA/PR/17/06, Helsinki marzo 2017): rischio di gravi lesioni oculari e tossico per gli organismi acquatici con effetti negativi sul lungo termine. Tutti gli ambienti naturali acquatici e terrestri possono essere danneggiati da questo erbicida, nonché gli operatori esposti. Molte agenzie, tra cui EFSA e ECHA, hanno dichiarato che questa sostanza è un fattore importante per la diminuzione della popolazione di uccelli, invertebrati (api incluse), pesci, anfibi e mammiferi attraverso la distruzione dell'habitat ma anche con effetti tossici diretti sull'animale. Si tratta di malformazioni, alterazioni della flora microbica in uccelli, bovini, suini.

  • Effetti sull'uomo. Secondo lo IARC, pur essendo le evidenze limitate su uomo, l'esposizione a erbicidi a base di glifosato potrebbe causare il linfoma non-Hodgkin. Conclusione per ora suffragata da indagini epidemiologiche su contadini residenti in USA, Canada e Svezia. Sempre lo stesso ente ha ravvisato evidenze plausibili che il glifosato provochi cancro in animali da laboratorio e che ha causato danni al DNA delle cellule di uomo. Il glifosato è inoltre una sostanza sospettata di essere interferente endocrino, ovvero una sostanza in grado di interferire con il normale funzionamento del sistema ormonale con implicazioni a largo spettro che potrebbero includere anche la fertilità. Questo aggraverebbe il quadro, poichè gli interferenti endocrini sono sostanze per le quali non esiste una soglia minima di sicurezza. Nel frattempo l'Istituto Ramazzini e il Dipartimento di Salute Globale della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York hanno intrapreso una campagna di raccolta fondi per uno studio pilota, già concluso, ed uno studio sistematico e integrato a lungo termine che fornirà risposte sugli effetti potenzialmente pericolosi sul microbiota intestinale, le interferenze endocrine, i difetti dello sviluppo e le lesioni agli organi bersaglio osservate nello studio pilota. Maggiori informazioni le troverete su https://glyphosatestudy.org


Ma sono molte le domande alle quali non è ancora possibile dare una risposta certa. Tuttavia, se non esiste una risposta certa sulla cancerogenicità del glifosato, la certezza che sia sicuro non c'è affatto. 
Certi sono invece i danni ambientali che il glifosato ha provocato.

Vi aspettiamo giovedì 26 aprile, con la seconda parte di questo approfondimento sul glifosato per #SaveHumansThursday. Effetti ad oggi conosciuti sull'ambiente, sulla fauna, le evidenze, seppur non conclusive, sulla salute umana. 


Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.

Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia GallettiVi aspettiamo giovedì prossimo! 





Bibliografia


1. IARC Working Group - “Glyphosate”, in Some organophosphate insecticides and herbicides: diazinon, glyphosate, malathion, parathion, and tetrachlorvinphos -  Vol 112 IARC Monogr Prog, 2015:1–92;

2. European Food Safety Authority - Conclusion on the peer review of the pesticide risk assessment of the active substance glyphosate - EFSA J 2015;13:4302. 

3. European Food Safety Authority - Final Addendum to the Renewal Assessment Report 2015 - http://registerofquestions.efsa.europa.eu/roqFrontend/outputLoader?output=ON-4302 ;

4. European Chemicals Agency -  Global 2000’s report on glyphosate - July 2017, https://echa.europa.eu/-/echa-s-opinion-on-classification-of-glyphosatepublished

5. Manservisi F., Babot C.M., Buscaroli A., Huff J., Lauriola M., Mandrioli D., Manservigi M., Panzacchi S., Silbergeld E.K., Belpoggi F. - An Integrated Experimental Design for the Assessment of Multiple Toxicological End Points in Rat Bioassays - Environ Health Perspect., 2017, Mar; 125(3): 289-295; 

6. Bianco, Valter Bellucci, Carlo Jacomini (Dip. Difesa della Natura, ISPRA) - Effetti del Glifosate sulla qualita ambientale e gli organismi viventi - 2016, https://www.researchgate.net/publication/305198199_Effetti_del_Glifosate_sulla_qualita_ambientale_e_gli_organismi_viventi

mercoledì 28 marzo 2018

A Pasqua e Pasquetta io non spreco. Settimana 15 #SaveHumansThursday



Un terzo del cibo prodotto nel mondo viene perduto. Lo spreco alimentare rappresenta una contraddizione del nostro tempo, a fronte dell'insicurezza alimentare di tanti esseri umani nel mondo, e porta con sé un grande, quanto inutile, consumo di risorse ambientali sempre più scarse e preziose. Se lo spreco alimentare fosse un paese, sarebbe al terzo posto per l'entità delle emissioni di gas serra dopo USA e Cina.  Ecco i consigli #SaveHumansThursday per una Pasqua senza sprechi e amica dell'ambiente.



A livello globale 1/3 del cibo prodotto viene perduto: si tratta di 1.300.000.000 di tonnellate di alimenti ogni anno che sarebbero sufficienti per nutrire circa 1/3 della popolazione mondiale.

Lo spreco alimentare ha dai costi immensi in termini umanitari e ambientali. Significa, infatti, buttare via risorse preziose come acqua, terreno fertile ed energia durante tutte le fasi di produzione e distribuzione e richiede una superficie coltivata grande quanto la Cina.



Se lo spreco alimentare fosse un paese, sarebbe al terzo posto per l'entità delle emissioni di gas serra dopo USA e Cina.

Nei paesi occidentali lo spreco si concentra soprattutto nelle fasi finali della filiera, ovvero nelle nostre case (il 43% dello spreco in Europa) e nella ristorazione.




by USDA
Per l'esattezza si buttano via:



  • il 30% dei cereali, pari a 763 miliardi di pacchi di pasta;
  • il 20% dei prodotti caseari europei, ovvero 29 milioni di tonnellate l'anno;
  • il 35% del pescato, per intenderci qualcosa come 3 miliardi di salmoni;
  • il 20% della carne, che corrisponde a 75 milioni di mucche.





Da un punto di vista economico, per una famiglia italiana lo sperpero alimentare significa una perdita di 1.693 euro l'anno.



Assieme al cibo, quanta natura sprechiamo?



 Secondo il rapporto WWF 2013 “Quanta Natura Sprechiamo”, nel 2012 in Italia lo spreco di cibo ha determinato:

-  l'uso di 1.226 milioni di metri cubi d’acqua, più della metà a causa della cattiva gestione degli alimenti nelle nostre case. Il quantitativo di acqua richiesto per produrre il cibo sprecato ogni anno nel mondo basterebbe a soddisfare i bisogni domestici di una città come New York per 120 anni;

- l'emissione di 24,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, di cui 14,3 milioni di tonnellate vengono attribuite allo spreco dei consumatori (valore pari al 20% delle emissioni dovute ai trasporti);

-  l'immissione nell'ambiente di 228.900 tonnellate di azoto reattivo contenuto nei fertilizzanti, di cui 143.100 a causa degli sprechi domestici. E' noto il suo impatto sulla qualità delle acque e dunque sulla sopravvivenza di flora e fauna degli ecosistemi idrici.



Ogni anno durante le Feste, come la Pasqua, gli sprechi alimentari subiscono un'impennata. La voglia di convivialità e di rilassarci possono giocare un tiro mancino all'ambiente e al nostro borsellino.

Cosa fare per correre ai ripari?

Ecco i consigli #SaveHumansThursday per una Pasqua senza sprechi e amica dell'ambiente:




1. Prima di acquistare pianifica.

Ovvero fai la buona, vecchia lista della spesa. Mai provato? E' senz'altro il modo migliore durante le Feste, ma anche nella quotidianità, per comprare esattamente ciò che serve, risparmiando un bel po' di denaro. Ed evitando, tra l'altro, di ritrovarsi con il frigorifero stipato degli alimenti più disparati ed essere assaliti ogni sera dal solito pensiero - E adesso cosa mangiamo? -

Decidi con calma  cosa desideri offrire ai tuoi ospiti per la Pasqua ma anche cosa portare in tavola ogni giorno e non lasciare che siano le millemila offerte del supermercato a farlo per te!





2. Quando cucini scegli le porzioni giuste, eviterai di gettare via il cibo o di spedire a casa i tuoi ospiti pieni di derrate alimentari.

 Per un pasto festivo, e dunque abbondante, potresti calcolare, ad esempio, per ciascun commensale:

50 g di antipasto
100 g di pasta e 50 g di condimento
circa 150 g di carne o pesce
250 g di ortaggi
200 g di patate e/o 50 g di pane
80 g di dolce
e mettiamoci anche 20/30 g di cioccolato per il tradizionale uovo
50/100 g di frutta




3. Leggi le etichette con attenzione.

I consumatori sono spesso confusi rispetto alle etichette dei prodotti alimentari per quanto riguarda le indicazioni “preferibilmente entro”, “usare entro”, “data di scadenza” e, a causa dell'insicurezza, gettano via prodotti ancora buoni da consumare.  La legislazione corrente sull'etichettatura riserva la data di scadenza per gli alimenti altamente deperibili come latte fresco, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca; tale data indica il termine entro il quale l’alimento è idoneo al consumo. La data “preferibilmente entro”, invece, si riferisce al termine minimo di conservazione: oltre questa data il prodotto, pur essendo ancora perfettamente commestibile, perde le qualità sensoriali attese dal consumatore.





4. Quali prodotti scegliere?

L'acquisto di prodotti freschissimi, direttamente dal produttore, potrebbe permetterci di avere a disposizione qualche giorno in più per poterli consumare, ancora in ottime condizioni. Chi ha la fortuna di avere a disposizione un orto lo sa, gli ortaggi appena raccolti mantengono le loro caratteristiche organolettiche qualche giorno in più, se conservati in frigo.

In molte regioni italiane per il pranzo pasquale vengono consumate tradizionalmente carni di agnello e capretto. Tale consumo non dovrebbe, tuttavia, trasformarsi in abitudine. L'enorme richiesta durante tutto l'anno viene soddisfatta in parte con ovini proveniente dall'estero e comporta un numero enorme di capi macellati, dalla provenienza incerta. La  crescente sensibilità dell'opinione pubblica verso le condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi ha portato molti consumatori a rinunciare al loro consumo.

Le capre generalmente nascono in primavera e la tradizione di mangiare capretto a Pasqua è nata, prima che ci fossero frigoriferi e grande distribuzione, proprio dalla necessità di non sprecare carne. Non può dunque rappresentare un cibo quotidiano. E' importante scegliere con cura la provenienza, informarsi riguardo le tecniche di allevamento (prediligendo animali  allevati all'aperto, poiché godono di migliori condizioni di vita e la loro alimentazione è basata unicamente sul pascolo) e premiare gli allevatori che rinunciano per due mesi alla produzione di latte per lasciarla al capretto (di modo da non nutrirlo con latte artificiale).

E' tanto più importante non sprecare carne se pensiamo che il 70% delle terre coltivabili del Pianeta è destinato alle produzioni animali e il 30% dei cereali coltivati servono a nutrirli. L'eccessivo consumo di carni e il loro spreco sottrae terreni per la coltivazione di alimenti destinati al consumo umano. L'allevamento di bestiame è la causa del 18% delle emissioni di gas serra a livello globale. Produrre un kg di carne di manzo, ad esempio, vuol dire produrre 36,4 kg di CO2, l'equivalente delle emissioni medie di un'automobile che percorre 250 km.





5. Divertiti con le ricette del riciclo. 


Le polpette sono senz'altro le regine del riciclo! Nella tradizione gastronomica ce ne sono di tutti i tipi: di verdure, di pane e formaggio, di carni miste per il recupero degli avanzi. Con la pasta avanzata è possibile realizzare una frittata, mentre con le verdure e i resti dei formaggi delle ottime torte salate. Avete mai provato a colazione la frittata di albumi e farina di avena con la frutta fresca?









6. Conserva in modo intelligente.

Il frigorifero non è uno stipatoio e, al fine di ottimizzare la conservazione, va organizzato con cura.
La carne, ad esempio, deve essere collocata nel ripiano al di sopra del cassetto delle verdure, e, se macinata, va consumata nel giro di 24 h. I formaggi, invece, vanno conservati nella parte alta del frigo assieme agli affettati. La frutta e gli ortaggi, chiusi in sacchetti di carta, andranno conservati negli appositi cassetti in basso. Il pesce, se non viene consumato in giornata, va congelato.

Dunque l'idea migliore è quella di congelare immediatamente ciò che non consumerete nel giro di poco. Magari in confezioni monodose, sarete grati a voi stessi quando dovrete pensare al pranzo da portare in ufficio!




7. Riduci al minimo gli imballaggi, soprattutto quelli in plastica. 

Su #SaveHumansThursday abbiamo parlato della plastica e delle sue conseguenza sull'ambiente qui e qui. Quando acquisti prediligi gli alimenti che non portano con se imballaggi ingombranti.





Lo spreco alimentare rappresenta una contraddizione intollerabile a fronte dell'insicurezza alimentare di tanti esseri umani nel mondo e porta con sé un immenso, quanto inutile, consumo di risorse ambientali sempre più scarse e preziose. Per non parlare della gestione dei rifiuti. Ebbene si, gli sprechi diventano poi rifiuti da smaltire: in Italia il 3% dei consumi di energia sono imputabili allo spreco alimentare.

Secondo la FAO i paesi industrializzati gettano nella pattumiera 222 milioni di tonnellate di cibo, la stessa quantità che viene prodotta per scopi alimentari nell'Africa Sub-Sahariana. Non possiamo e non dobbiamo più ignorare questi dati.


Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.


Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.



Buona Pasqua a tutti e vi aspettiamo giovedì prossimo! 




Bibliografia:

  • BCFN - Lo spreco alimentare: cause, impatti e proposte - giugno 2012
  • INEA - Lo spreco alimentare in Italia -  2014, Mipaaf
  • Segrè  A - LAST MINUTE MARKET -  2010,  Pendragon ed.



mercoledì 14 marzo 2018

Il tempo delle fragole. Settimana 13 #SaveHumansThursday



 Le fragole sono già arrivate sui banchi di ortofrutta, ma è questa la loro stagione? Coltivate in serra o in campo aperto, locali o importate, biologiche o convenzionali: quali sono le differenze per i consumatori e per l'ambiente?





Sabato mattina, come di consueto, sono andata al mercato assieme dalla mia cagnolona Morgana. Adoro girare tra le bancarelle e parlare con i commercianti (quelli che hanno scelto i loro prodotti, li hanno assaggiati e ne conoscono storia e origine, s'intende). Si impara moltissimo, provare per credere.


E come ogni sabato ci siamo dirette verso il chiosco di ortofrutta di Valbona. Avvicinandomi vengo inesorabilmente attratta dai cestini di fragole che troneggiavano - bellissime - in mezzo a broccoli, cavolfiori, cime da rapa e bietole.

- Valbona, le fragole al 10 di marzo? -

- Sono italiane, vengono dalla Calabria! - e vedendo la mia faccia poco convinta - Eh si! Sono di serra! -

Per poi iniziare ad elencarmi la geografia della raccolta delle fragole lungo lo Stivale e le tecniche di coltivazione utilizzate regione per regione.

La tentazione l'ho avuta, sia chiaro. Fatto sta che mi sono ritrovata a casa con la mia scorta di cavoli, cicoria e arance. Per le fragole, visto che siamo a Bologna, aspetterò fine aprile. Quando arriveranno quelle di Cesena. 



Ma le fragole non si trovano anche a dicembre? Quand'è che arriva il tempo delle fragole e da dove arrivano? 


Dipende. Se vivete a Palermo potrete iniziare a gustarle prima, se, invece, vivete a Bolzano vi toccherà aspettare per qualche tempo. Com'è noto nella nostra Penisola ci sono climi differenti. Ma le variabili sono anche altre: il sistema di coltivazione (in serra o in campo aperto) e la varietà. Esistono infatti incroci con una varietà selvatica, la Fragaria virginiana, la cui fioritura non dipende dal numero di ore di luce della giornata,  che, in virtù di questa caratteristica, fioriscono e fruttificano più a lungo.

E poi ci sono le fragole d'importazione, che in Italia arrivano principalmente da Spagna, Marocco ed Egitto il cui consumo è  aumentato, negli ultimi anni, del 22%. E' da questi Paesi che proviene buona parte delle famigerate "fragole di Natale". Prodotto che, purtroppo, è immancabile sugli scaffali dei supermercati durante l'inverno. 

Secondo i dati FAO riferiti al 2015 la Spagna detiene il primato di produzione in Europa, seguita da Polonia e Italia. Il 27% della produzione italiana - sulla base dei dati ISTAT - avviene in campo aperto, dunque il 73% delle fragole italiane viene coltivata in serra. Dal 2000 ad oggi il nostro Paese ha perso circa il 25% della produzione totale, in compenso le importazioni (soprattutto dalla Spagna) sono aumentate del 22%.

Secondo i dati del Centro Servizi Ortofrutticoli (CSO) in Emilia Romagna, invece, il 60% degli impianti è effettuato in campo aperto e il 40% delle fragole viene coltivato in serra. E' la varietà che determina la scelta tra produzione in serra o in campo aperto. Per esempio le varietà Sibilla (resistente alle patologie dell'apparato radicale) e Aprica si adattano bene anche alla coltivazione in campo. In Romagna la raccolta inizia tra la metà e la fine di aprile (dipende dalle temperature) e prosegue fino a giugno.





Le fragole "precoci" sono coltivate anche in Italia sotto tunnel di plastica che favoriscono la maturazione, nonostante le temperature siano ancora basse. Nel Sud dello Stivale le prime vengono raccolte a partire dalla fine di febbraio, mentre al Nord si deve aspettare aprile. Dopo qualche settimana maturano anche le fragole coltivate in campo aperto che al Nord si trovano da maggio a metà giugno.


Fanno eccezione Trentino e Alto Adige dove la stagione comprende anche luglio e agosto.

L'obbiettivo per il futuro è quello di produrre anche in Italia fragole per ogni stagione dell'anno, inverno incluso, sfruttando le caratteristiche di alcune varietà e le tecniche produttive. Di recente, ad esempio, in Calabria sono state sviluppate produzioni che possono offrire frutti anche a novembre e dicembre. Si tenta dunque di anticipare l'inizio della stagione e di posticiparne la fine, di modo da poter competere con i prodotti importati. A mio parare lo scopo, comprensibilissimo, delle aziende italiane è quello di ridurre le importazioni fuori stagione da Paesi come Egitto e Marocco e le conseguenti perdite economiche per l'agricoltura italiana, peraltro già elevate. E qui interviene il consumatore: abbiamo proprio bisogno di mangiare fragole in inverno? Vivremmo comunque benissimo se in inverno acquistassimo dalla Calabria e dalla Sicilia le arance, peraltro squisite, anziché le fragole. Sono i consumatori a fare il mercato, non viceversa.



Per l'ambiente meglio il campo o la serra? 

by Glysiak
Le colture protette (in tunnel o in serra) vengono utilizzate per proteggere le piante da stress biotici e abiotici, controllare lo sviluppo delle piante e destagionalizzare la produzione (ma vengono utilizzate anche durante la naturale stagione). Le loro criticità, sulla base delle attuali tecnologie, sono connesse soprattutto a:


  • impiego di materiali plastici di copertura e il conseguente smaltimento di ingenti quantitativi di plastica, circa 5.000 kg per ettaro per anno. Abbiamo parlato dei problemi connessi allo smaltimento della plastica qui e qui;
  • il ricorso a impianti di riscaldamento (il combustibile più diffuso è il gasolio) e le conseguenti emissioni gassose nell'ambiente. In Italia viene calcolato che, per la sola climatizzazione, il consumo diretto di energia si aggira sull'ordine di 140.000 TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio).  In Olanda in serra riscaldata (fuori stagione) vengono rilasciate 800 tonnellate di CO2 per ettaro per anno;
  • difficoltà nello smaltimento dei substrati non riutilizzabili  (come la lana di roccia) e delle soluzioni nutritive non riciclate nelle coltivazioni fuori suolo;
  • uso di maggiori quantità di fitofarmaci (insetticidi, fungicidi ed erbicidi) che avviene sulla base di calendari preventivi. L’impiego di questi prodotti, circa un centinaio di principi attivi autorizzati per coltura, potrebbe creare problemi di ordine tossicologico/ambientale e per il 30/50% vengono dispersi nell'aria;
  • fertilizzanti spesso utilizzati, unitamente all'acqua, in dosi eccessive rispetto ai bisogni della pianta e conseguenti rischi di salinizzazione del suolo e accumulo di nitrati nelle falde. Secondo alcuni studi il 50% di azoto e fosforo somministrati non vengono assorbiti dalle piante, ma vanno ad inquinare gli ecosistemi.

Bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto alle colture in pieno campo, l'uso delle serre (se ottimizzate e sottoposte a corretta manutenzione) potrebbe comportare una maggiore efficienza nell'uso dell'acqua. In Nord Europa è stata migliorata di 5 volte l'efficienza d'usa dell'acqua. In una tipica serra mediterranea una coltura di pomodoro utilizza in media 1/3 dell'acqua necessaria per le produzioni in pieno campo. 

La carbon footprint delle fragole (ossia la quantità dei diversi gas serra emessi perché arrivino sulle nostre tavole) varia sulla base dei sistemi di coltivazione utilizzati (tunnel in plastica, serre, campo aperto e utilizzo di diversi substrati) e dalla regione di produzione. I principali responsabili delle maggiori emissioni di gas a effetto serra sembrano essere la produzione e lo smaltimento dei materiali plastici, dei substrati utilizzati e dei pesticidi.

Secondo una studio condotto sulle fragole provenienti dalla Spagna, ad esempio, la produzione è responsabile del 41% delle emissioni,  il restante 59% dipende da trasporto, distribuzione e sprechi domestici.




Km 0 o fragole viaggiatrici?


Il Sustainable Europe Research Institute (SERI) ha condotto uno studio comparativo tra le emissioni di diossido di carbonio connesse al trasporto merci di ortofrutta locale e importata in Austria. Le emissioni legate alla produzione di fragole e al trasporto su strada dalla Spagna sono risultate 38 volte maggiori rispetto alla produzione e  trasporto all'interno del Paese.


Secondo uno studio condotto in Inghilterra una riduzione del 75% delle importazioni di mele, ciliege, fragole, aglio e piselli da Paesi non europei (alimenti trasportati in aereo e naturalmente refrigerati) potrebbe comportare una riduzione delle emissioni di 87 kilotonellate di CO2  equivalenti ogni anno.

Venendo all'Italia, 1 kg di fragole prodotte e trasportate dal Sud Africa in aereo portano all'emissione di 11,7 kg di anidride carbonica. La stessa quantità prodotta e trasportata in Italia comporta, invece, l'emissione di 0,3 Kg di anidride carbonica.

Va detto che il trasporto incide poco sui costi e non è pertanto disincentivato. Il costo per l'ambiente è invece decisamente elevato.




Le fragole biologiche hanno un minore impatto sull'ambiente?

Dipende. L'impatto ambientale complessivo dei vari prodotti va valutato caso per caso. Attraverso il metodo biologico vengono prodotti alimenti con pratiche quanto più sostenibili possibile con l'obbiettivo, tra gli altri, di prevenire la perdita di biodiversità e l'impoverimento del suolo. Tuttavia l'impatto ambientale di un alimento dipende da diversi fattori quali consumo di acqua, energia e suolo, emissioni di gas a effetto sera, uso di pesticidi e fertilizzanti nonché trasporti. 

Se la coltivazione è in serra, poiché fuori stagione, non ci sono vantaggi rilevanti per l'ambiente. Senza contare i trasporti che vengono effettuati su mezzi refrigerati. 



Residui di pesticidi nei prodotti comunitari e non comunitari

Secondo un recente report dell'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) la maggiore prevalenza di residui di pesticidi al di sopra del Maximum Residue Level (MRL, ovvero il massimo livello di un residuo di pesticidi legalmente accettato nel cibo e nei mangimi) viene osservata nei prodotti importati da Paesi non comunitari. Le fragole sono, tra i prodotti analizzati, quello col più alto tasso di eccedenza rispetto ai limiti fissati.  Questi pesticidi sono tutti autorizzati, il problema è nelle dosi. Si parla, ad esempio, di fragole importate dalla Cina o dall'Egitto (in quest'ultimo caso il 10% dei prodotti esaminati superano i limiti).






Per concludere, anche quando non è possibile acquistare prodotti biologici, ciò che conta è scegliere prodotti:



  • di stagione (quella vera), di modo da limitare l'uso delle serre e i consumi di energia;
  • non imballati in plastica per ridurre i rifiuti e le emissioni di gas serra;
  • a km 0 di modo da ridurre le emissioni inquinanti.


Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.
Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.Vi aspettiamo giovedì prossimo! 


Bibliografia



  • European Food Safety Authority - The 2013 European Union report on pesticide residues in food - EFSA Journal, 2015; 13(3): 4038, 169 pp;
  • International Trade Centre UNCTAD/WTO - Airfreight Transport of Fresh Fruit and Vegetables : A Review of the Environmental Impact and Policy Options - Geneva: ITC, 2007. vi, 50 p. Doc. No. MDS-07-136.E;
  • Michalsky M, Peter S - Greenhouse gas emissions of imported and locally produced fruit and vegetable commodities: A quantitative assessment - Environmental Science & Policy, 2015; 48: 32-43;
  • Mordini M,  Nemecek T, Gaillard G - Carbon & Water Footprint of Oranges and Strawberries A Literature Review - December 2009, Federal Department of Economic Affairs FDEA Agroscope Reckenholz-Tänikon Research Station ART Swiss Confederation;
  • Salvato M (a cura di) - Manuale di orticoltura: la serra sostenibile - 2011, P.A.N. edizioni





lunedì 5 marzo 2018

Pillole di Nutraceutica. Il burro di nocciole fatta in casa



Come scegliere la crema di nocciole o come prepararla a casa?
Le nocciole sono amiche del cuore e contribuiscono ad abbassare i livelli ematici di colesterolo 






- Dottoressa, dovrebbe inventare una crema di nocciole che non fa ingrassare! -


L'accorato appello è senz'altro la richiesta più frequente che ha caratterizzato gli ultimi 12 anni della mia vita. Ammetto di non aver ancora trovato una soluzione per l'annosa questione, ma non mi arrendo.

Nel frattempo come scegliere la crema di nocciole?

Partendo dall'ingrediente principale, ovvero la pasta di nocciole. Consiglio di orientarsi su prodotti che indichino in etichetta, come primo ingrediente, la pasta di nocciole e non lo zucchero (che spesso può arrivare a rappresentare più del 50% del prodotto). Gli ingredienti sono indicati per ordine decrescente di quantità, il primo dell'elenco è il più abbondante. Nei prodotti in commercio possono essere inoltre presenti oli vegetali, anche saturi, aggiunti per aumentarne la fluidità. Il risultato è spesso un prodotto con tenore proteico inferiore a quello della nocciola, profilo lipidico qualitativamente inferiore e con un elevato impatto glicemico. Ovvero stimola in maniera massiccia la secrezione di insulina e la fame torna in poco tempo. La stragrande maggioranza dei lettori lo avrà provato su di sé.



In alternativa possiamo preparare, per iniziare, del burro o pasta di nocciole con le nostre manine. La pasta di nocciole è una crema spalmabile prodotta unicamente con le nocciole e può essere facilmente realizzata anche a partire da mandorle, anacardi, pistacchi, ecc.

Cosa serve?

Nocciole, un forno e un mixer. Null'altro.

Il procedimento è semplicissimo:


  • tostate le nocciole a 180 °C per circa 5-6 minuti. Io non le ho pelate, più avanti vi spiegherò il perché. Il tempo di tostatura deve essere ridotto per evitare eccessive alterazioni a carico dei grassi insaturi e sul contenuto di vitamina E;
  • lasciatele raffreddare;
  • mettetele nel boccale del mixer e frullate a più riprese (onde evitare di fondere il motore). Io ho frullato alla massima potenza per 30 secondi, lasciando riposare il composto per 10 minuti, per poi tornare a frullare. Prima si otterrà una granella e via via un'emulsione densa. Non è necessario aggiungere olio poiché per ottenere una consistenza cremosa sono sufficienti i grassi naturalmente contenuti nelle nocciole. 
Finito! Semplicissimo, non credete? Potete conservare la crema di nocciole al 100% in un barattolo di vetro in frigorifero. E' ottima e naturalmente dolce anche così, ma può essere utilizzata come base per preparare una nocciolata casalinga, dolci (in alternativa al burro) o anche per insaporire il caffè o lo yogurt. A breve pubblicherò alcune ricette!

Le nocciole sono amiche del cuore e contribuiscono ad abbassare i livelli ematici di colesterolo grazie al loro di contenuto di:


  • fitosteroli che, simili al colesterolo animale, interferiscono con l'assorbimento del colesterolo alimentare sostituendosi ad esso. I fitosteroli resistono molto bene alla tostatura;
  • vitamina E che possiede proprietà antiossidanti e riduce il rischio di diabete di tipo 2, ipertensione, tumori, contrasta il declino cognitivo (malattia di Alzheimer) e modula i processi di invecchiamento. 28 nocciole (30 g)  apportano più della metà del fabbisogno giornaliero di vitamina E;
  • grassi insaturi.  Le nocciole sono costituite per il 60% da grassi per lo più comparabili a quelli contenuti nell'olio extravergine di oliva. Si tratta, infatti, prevalentemente di acido oleico (82%), acido grasso monoisaturo noto per il suo effetto ipolipemizzante. Secondo alcuni studi sarebbe in grado, assieme alla vitamina E, di contrastare la perossidazione lipidica. Dunque, contrariamente a quanto comunemente si crede, diete ricche di grassi di buona qualità sono in grado di migliorare il profilo lipidico di coloro che soffrono di ipercolesterolemia più delle diete a ridotto contenuto di grassi;
  • polifenoli e in particolare flavonoidi, che contribuiscono a mantenere le arterie elastiche e la cui azione antiossidante è sinergica con quella della vitamina E. Sono contenuti per il 50% nella cuticola (che è il perisperma), che spesso viene scartata, e la loro presenza è maggiore se le nocciole vengono tostate;
  • fibra. Una porzione di nocciole da 30 g fornisce il 10% del fabbisogno quotidiano di fibra che riduce l'assorbimento intestinale del colesterolo alimentare. 

Pronti a preparare la nocciolata a casa?



Bibliografia:


  • Di Renzo L et al - Post-prandial effects of hazelnut-enriched high fat meal on LDL oxidative status, oxidative and inflammatory gene expression of healthy subjects: a randomized trial - European Review for Medical and Pharmacological Sciences, 2017; 21: 1610-1626;
  • Pelvan E et al - Phenolic profiles and antioxidant activity of Turkish Tombul hazelnut samples (natural, roasted, and roasted hazelnut skin) - Food Chem, 2018, Apr 1;244:102-108;
  • Perna S et al - Effects of Hazelnut Consumption on Blood Lipids and Body Weight: A Systematic Review and Bayesian Meta-Analysis - Nutrients 2016, 8, 747; doi:10.3390/nu8120747.




mercoledì 28 febbraio 2018

Quali gamberi portare in tavola (parte 2)? Le specie del Mediterraneo: consigli per un acquisto consapevole. Settimana 11 #SaveHumansThursday



Gli italiani consumano più gamberi di quanti sia possibile reperirne nel Mediterraneo. Il Mediterraneo è in grado di sostenere i nostri attuali consumi? Quali tecniche di pesca vengono utilizzate e quale impatto hanno sugli ecosistemi marini? Di quali informazioni abbiamo bisogno quando acquistiamo i gamberetti?





Non chiamateli semplicemente gamberi, anche se all'apparenza si assomigliano tutti. Hanno 10 zampe, lo stesso numero di segmenti corporei e sono fra loro parenti (parentela condivisa anche con granchi, canocchie e paguri, non si scappa). 

Si tratta di numerose specie di mare e di acqua dolce ricercatissime in Europa, Giappone e USA, i maggiori consumatori al mondo. Tanto che il consumo europeo viene coperto per il 61% da prodotti di importazione. Per quanto riguarda il mercato italiano si tratta soprattutto di crostacei provenienti da Ecuador, Argentina, India, Nord Europa, Thailandia e Vietnam. Gamberetti boreali pescati in Nord Europa o gamberetti tropicali pescati o allevati. L'allevamento dei gamberetti tropicali è una delle principali cause del disboscamento delle foreste di mangrovie, complessi ecosistemi centrali per la sicurezza di uomini, territorio e fauna. Su Ecobriciole ne abbiamo parlato in questo articolo per il progetto SaveHumansThursday.

Un numero sempre maggiore di consumatori, sensibilizzati su tali questioni, si orienta sul pescato del Mediterraneo. Ma la scelta può non essere così semplice e le questioni da dirimere non sono poche. 
Il Mediterraneo è in grado di sostenere i nostri attuali consumi? Quali tecniche di pesca vengono utilizzate e quale impatto hanno sugli ecosistemi marini? Di quali informazioni abbiamo bisogno quando acquistiamo i gamberetti?

I crostacei sono al secondo posto tra le specie ittiche preferite dagli italiani, che ne consumano 133.000 tonnellate all'anno. L'Italia è al quarto posto tra i produttori europei con la cattura di 25.000 tonnellate all'anno, costituite principalmente da gamberi bianchi, canocchie, scampi e gamberi rossi. Ma le importazioni sono 4 volte maggiori! Gli Italiani consumano dunque più crostacei di quanti sia possibile reperirne nel Mediterraneo. Di overfishing - o sovrapesca - abbiamo parlato in questo articolo.


PER INIZIARE: GAMBERI PESCATI O ALLEVATI?


By NOAA
La produzione di crostacei rappresenta circa il 6% del pescato nazionale. Per i gamberi, che vivono sui fondali, la tecnica di pesca principale è quella a strascico, destino condiviso da merluzzi, triglie, polpi, moscardini bianchi, calamaro mediterraneo e totani.

Il 30% della flotta peschereccia italiana pratica la pesca a strascico, una delle tecniche più dannose, basata sull'utilizzo di reti zavorrate che raschiano i fondali  marini distruggendoli  e rastrellando tutto ciò che trovano lungo il loro percorso. Pesci, crostacei, coralli. Molte specie vengono raccolte senza ragione. 



By NOAA
Le tecniche di pesca non selettive causano ogni anno 38,5 milioni di tonnellate di catture accidentali. Circa il 40% del pescato mondiale è rappresentato da animali marini che vengono catturati in modo non intenzionale. Spesso vengono scandalosamente rigettati in mare morti, moribondi o gravemente feriti. Stiamo parlando di esemplari giovani, specie non ricercate ma anche di 300.000 tra delfini e piccole balene, 250.000 tartarughe marine, 300.00 uccelli marini. 

Nell'ottobre del 2017, ad esempio, a largo della costa di Lignano Sabbiadoro, sono state catturate otto giovani tartarughe Caretta caretta in una sola bordata di pesca a strascico. Ma sono state fortunate, il comandate del peschereccio, che aveva già collaborato con il progetto TartaLife, ha avvisato le autorità. E le tartarughe sono tornate al mare. 

L'altra tecnica di pesca utilizzata è quella delle nasse, principalmente legata al mercato artigianale. E' meno invasiva sugli ecosistemi marini, tuttavia non permetterebbe di soddisfare le attuali richieste del mercato. 

Uno strumento nelle mani dei consumatori è la Certificazione di Prodotti da Pesca e Acquacoltura Sostenibile (Friend of the Sea), un programma internazionale che certifica prodotti provenienti sia da acquacoltura che da pesca selvaggia, verificando che l'origine sia conforme a criteri di sostenibilità. 

E poi ci sono gli allevamenti. In Europa la gambericoltura ha mosso i suoi primi passi alla fine degli anni 60 e, dopo un primo periodo di forte impulso, ha conosciuto un notevole rallentamento per via della difficoltà a reperire aree adeguate, per i costi elevati ma anche per la resistenza ad introdurre specie non autoctone.



SI FA PRESTO A DIRE GAMBERO! QUALI SPECIE VENGONO PESCATE NEL MEDITERRANEO?





By Rafael Ortega Díaz
  • Mazzancolla (Penaeus kerathurus), nota anche come gambero imperiale. Pescata nel Mediterraneo, in particolare nel Mare Adriatico. Vive sui fondali sabbiosi e fangosi in prossimità della costa. La colorazione è rosa-marrone con una striscia azzurra nell'ultimo tratto della coda, può raggiungere i 20 cm di lunghezza. Stagionalità: da febbraio a aprile e da settembre a dicembre. 







© Hans Hillewaert
  • Scampo (Nephrops norvegicus). Pescato nel Mediterraneo, soprattutto nel Mar Ligure, Adriatico e Tirreno. Vive sui fondali sabbiosi e fangosi attorno ai 300 metri di profondità. Lo riconoscerete per via delle chele e del colore rosato. Raggiunge circa i 20 cm. Stagionalità: da marzo a luglio.









By Calapito
  • Gambero rosa (Parapenaeus longirostris). Zona di pesca: Mediterraneo soprattutto Mar Ligure, Tirreno, Ionio e Canale di Sicilia. Il colore è rosa chiaro, con sfumature violacee sul carapace. La taglia massima è di 19 cm. Stagionalità: da marzo a giugno.









By Daderot
  • Gambero grigio (Crangon crangon). Pescato nel Mediterraneo. Vive sui fondali sabbiosi in prossimità delle coste entro i 200 m di profondità, ma anche nelle lagune e negli estuari. E' tra i più piccoli, appena 5 cm. Stagionalità: durante i mesi freddi e primaverili.









By Pasqual Broch
  • Gambero viola (Aristeus antennatus). Area di pesca: Mediterraneo, in particolare Mar Ligure, Tirreno, Ionio e Mare di Sicilia. Vive sui fondali fangosi fra i 200 e i 1000 metri di profondità. Dimensioni 10-18 cm. Il colore è rosso con sfumature tendenti al viola e all'azzurro. Stagionalità: fine primavera-fine autunno.











By Civa61
  • Gambero rosso (Aristaeomorpha foliacea). Area di pesca: tutto il Mediterraneo tranne il medio e alto Adriatico. La marineria di Mazara del Vallo ne ha fatto il suo emblema, specializzandosi nella pesca di questo crostaceo. Vive ad una profondità tra i 200 e i 1000 metri. Il colore è rosso intenso e la taglia raggiunge i 20-23 cm. Stagionalità: da maggio a settembre.











IN PESCHERIA: COSA E' IMPORTANTE SAPERE?




  • Imbrunimento. I gamberi sono i prodotti ittici per i quali è maggiormente difficile riconoscere il livello di freschezza. Vanno incontro ad un deterioramento molto veloce, tendono ad annerirsi a un giorno dalla cattura ma sono ancora ottimi per tre giorni. Per questa ragione la scelta di prodotti congelati a bordo della nave, immediatamente dopo la pesca, potrebbe essere una buona soluzione per i meno esperti. E' importante che la testa non si stacchi troppo facilmente e che i gamberi non emanino un marcato odore di ammoniaca. Come gli altri crostacei contengono elevate quantità di aminoacidi che, per degradazione enzimatica e batterica, contribuiscono alla liberazione di azoto e all'insorgenza di odore di ammoniaca;
  • Conservanti e additivi. I gamberi, sia freschi sia surgelati, possono contenere conservanti o additivi, consentiti dalla legge, che devono essere indicati nell'elenco degli ingredienti. Ad esempio sodio benzoato (E211) e solfiti (E222, E223). Questi ultimi vengono utilizzati per ritardare l'imbrunimento della testa e la perdita di colore. A riprova del fatto che non sempre i gamberi con la testa scura sono quelli meno freschi. Quelli trattati con solfiti, pur non essendo anneriti e conservando un colore più vivo, potrebbero essere stati pescati o decongelati molto tempo prima;
  • Zona di pesca.  Prediligete i prodotti della pesca artigianale e locale (per il Mediterraneo le zone FAO sono 37.137.2 e 37.3) di modo da tutelare ambiente, tradizioni, ma anche il reddito delle famiglie impiegate in questo settore;


  • Stagionalità e dimensioni. La stagionalità dipende dal ciclo riproduttivo della specie in questione. Acquistare pescato stagionale significa anche sceglierlo della taglia giusta, evitando gli individui giovani che non si sono ancora riprodotti. Mangiare individui giovani significa impedire ad una specie di riprodursi. Per la maggior parte dei pesci, crostacei e molluschi esiste una taglia al di sotto della quale non possono essere acquistati e commercializzati. Ad esempio è necessario evitare gamberi rosa la cui testa misuri meno 2 cm o scampi le cui dimensioni siano inferiori ai 7 cm:
  • Etichetta. Dal dicembre 2014 è necessario comunicare ai consumatori:

    1 la denominazione commerciale della specie;
    2. il metodo di produzione (pescato o allevato);
    3. la zona in cui il prodotto è stato catturato o allevato e la categoria di attrezzi da pesca usati nella cattura di pesci;
    4. se il prodotto è stato scongelato.

I gamberi pescati nel Mediterraneo sono prodotti ittici pregiati e molto ricercati dai consumatori. Il costo può essere molto elevato, si arriva ai 40 euro al kg per il gambero rosso e ai 50/60 euro al kg per il gambero viola. Anche per questo motivo più del 60% della richiesta viene soddisfatta da prodotti d'importazione, spesso gamberetti tropicali allevati che mettono a dura prova gli ecosistemi forestali. Nel Mediterraneo vengono catturati prevalentemente attraverso la pesca a strascico, la più distruttiva per i fondali e le creature che li abitano, mentre la pesca artigianale con le nasse, che ha un impatto ambientale minore, non può soddisfare le attuali richieste dei consumatori. 

Per questo motivo è preferibile consumare gamberi con parsimonia, scegliendo con cura i prodotti sulla base di provenienza, tecniche di pesca e stagionalità. 

Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.

Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.
Vi aspettiamo giovedì prossimo! 

Bibliografia

  • Davies RWD et al - Defining and estimating global marine fisheries bycatch - Marine Policy, 2009; doi:10.1016/j.marpol.2009.01.003;
  • Iborra Martin J - La Pesca in Italia - Unità tematica Politiche strutturali e di coesione, Bruxelles, Parlamento europeo, 2008;
  • ISTAT - Statistiche sulla pesca e zootecnia, Anno 2001 - Informazioni n. 27; 2003.